La Brescia di Montanelli fra politica e costume

«Sono stato un critico aspro della Prima Repubblica e mi sono battuto per la riforma della legge elettorale. Mi sono sbagliato in pieno. Questo papocchio e il personale della nuova classe dirigente ci fanno ampiamente rimpiangere quelli della Prima Repubblica». Non solo. «È vero, c’erano ladroni, padroni e satrapi, ma nell’insieme era gente che sapeva che cos’era la politica. Questi sono dilettanti. Io, anche fra i ladri, preferisco i professionisti».

Il 22 luglio sono stati vent’anni dalla scomparsa del grande giornalista del Corriere della Sera, fondatore del Giornale prima e della Voce dopo, morto a Milano a 92 anni.
Dei suoi rapporti con Brescia diamo soltanto tre flash. Il Sancarlino, dunque. Le frasi citate all’inizio conservano una certa attualità. Così come sembrano pronunciate oggi queste parole: «Non capisco cosa sia diventata la giustizia. Vedremo giudici che mettono le manette ai giudici». Le condizioni in cui versa la nostra magistratura legittimano la domanda: preveggente Montanelli oppure siamo impantanati da decenni negli stessi problemi? Mica le azzeccava tutte, comunque.

Il giornalista stimava Martinazzoli: «È un grande galantuomo - disse quel 15 gennaio - io gli rimprovero solo di essere un po’ troppo ritroso, anche se in fondo mi piace proprio perché è così». Lo invitò a ritornare nell’agone politico nazionale.
Il secondo flash rimanda ad una inchiesta sulle città lombarde negli anni del boom economico. Il 20 dicembre 1964 il Corriere della Sera pubblicò il reportage di Montanelli su Brescia. Un affresco di città e provincia attraverso la figura dello storico sindaco Bruno Boni. Un politico esperto, capace di navigare in qualsiasi mare, «un laico che ha saputo impadronirsi degli strumenti della politica clericale». Indispensabili per governare Brescia. Ricordando il mestiere di sarto del padre, specialista in abiti talari, Montanelli vergava una delle sue battute: «Nessuno conosce i preti meglio di Boni, che fin da ragazzo li ha visti in mutande».
In realtà, il ritratto complessivo del giornalista era lusinghiero, riconoscendo la centralità della figura di Boni nel sistema politico-economico di Brescia. Montanelli, ripercorrendo lo sviluppo di città e provincia dal dopoguerra, scriveva di Lumezzane. «Vengono da questo covo di cavernicoli assatanati di meccanica e di tecnica - citiamo - alcune fra le più robuste e compatte dinastie bresciane. Si sposano fra loro solo per sfornare figli da mandare alle macchine come operai». Un po’ troppo colore, diciamolo.
Terzo flash, Giovanni Paneroni (1871-1950). Montanelli, da giovane, nelle vie di Milano sentì più volte il grido battaglia dell’astronomo tolemaico: «La terra non gira o bestie!». Nei primi anni Novanta lo citò più volte sul Corsera e sulla Voce, come esempio di anticonformismo contro il potere. «Un Don Chisciotte, l’eroe fra tutti da me preferito», riconobbe il 24 agosto del 2000 nella sua rubrica delle lettere La Stanza. «Fu il restauratore e vindice di Tolomeo e della Genesi», colui che restituì «alla terra la dignità di centro dell’universo che Copernico e Galileo le avevano tolto». Nell’articolo arrivò a chiedere, con ironia, un loculo vicino alla sua tomba. Nel settembre del 2000 il Comune di Rudiano promosse una mostra su Paneroni, invitando il giornalista, ma l’età e le condizioni di salute non gli consentirono di esserci.
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