Cultura

James Taylor e l'abbraccio di Brescia

Trionfo al Grande del cantautore americano, che regala a Brescia tutti i suoi successi e la «chicca» finale dei duetti con la moglie Kim.
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Confidenzialmente James. Delicatamente James. Così straordinariamente James da tenere una «Ferrari dei tamburi» come il batterista Steve Gadd al minimo dei giri e farlo apparire naturale. Come naturale deve essergli sembrato vedere un teatro tutto pieno, visto che questo tour è all'insegna del sold out.

Eppure, di fronte ad un Grande gremito, anche James Taylor ieri sera ha vacillato. Giusto un attimo, quell'istante di oblio tra il retropalco e il suo fidato sgabello, la sua amata chitarra acustica. Due accordi e poi via, con «Blossom» a catapultare il pubblico in questa landa senza tempo dove canta e suona dalla fine degli anni '60.

In una sua scaletta ideale, i pezzi irrinunciabili sono tanti, tantissimi. E anche dalla platea bresciana i «suggerimenti» non sono mancati. Così, è bastato attendere il terzo brano per godersi la freschezza di «Carolina on my Mind». La voce di Taylor accusa un po' il passare degli anni, anche se solo di fronte ai passaggi più impegnativi, ma resta ad alto tasso di comunicatività, in uno show poco incline a lasciarsi andare. «Frozen Man» e «Walking Man» aggiungono poco alle versioni su disco, ma con «Steamroller» (brano coverizzato anche da Elvis) l'artista - armato stavolta di chitarra elettrica - si lancia in una parodia dei vecchi bluesmen, tra smorfie, pronuncia biascicata e assolo di armonica. E sulle dodici battute si esalta anche la band (oltre a Gadd c'erano Jimmy Johnson al basso e Jeff Babko a pianoforte e tastiere), abilissima a giocare con gli accenti, le sfumature.

Ci vorrebbe poco, del resto, a sfigurare piccoli gioielli come «Sweet Baby James», altra esecuzione da applausi, ideale introduzione alla magnifica «Up on the roof», frutto prelibato della fabbrica di successi Carole King-Gerry Goffin.

Dopo una piccola pausa, Taylor - assai ciarliero nelle presentazioni - riparte soft, accoglie un vecchio amico sul palco, ovvero un registratore a bobine («suona con me dal 1977») da cui arriva il supporto vocale necessario per «Lighthouse». I tempi sono maturi perché il «fab one» omaggi i Fab Four, prima ricordando, con «Something in the way she moves», «l'audizione fatta per George Harrison e Paul McCartney», quindi celebrando Sir Paul con una «Yesterday», per la verità, non proprio indimenticabile. Un mezzo passo falso subito spazzato via dall'esuberanza di «Mexico».

Sul finale, una chicca regalata soltanto a Brescia (citata addirittura nel testo) con «You Got a Friend» cantata insieme alla moglie Kim Smedvig. I bis sono l'apoteosi, con «Shower The People» e «How Sweet it Is», intonata da tutto il Grande. Il tempo per ringraziare il promoter Adolfo Galli per averli fatti suonare in un «beautiful place» e per la signora Taylor di dire, in italiano, «è un grande onore essere qui», poi l'ennesima sorpresa: «Close your Eyes», ancora un duo familiare, gli ultimi accordi prima che James si sieda sul palco a firmare autografi. L'ennesimo viaggio, almeno per una notte, può aspettare.
Rosario Rampulla

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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