Ingegnere e scrittore, Paolo Zanatta gioca con il tempo ne «Il matto delle ore»
L’enigma degli automi affascina scrittori, filosofi e scienziati da moltissimo tempo. Come non ricordare Cartesio, che paragona arditamente le funzioni dell’organismo umano (afferente alla «res extensa») ai movimenti sincroni di un orologio? O «le canard digérateur», il celebre automa meccanico progettato da Jacques de Vaucanson nel 1739?
Ebbene, anche Paolo Zanatta coltiva una sua passione per la meccanica, in questo caso dei segnatempo, che lo ha portato a studiarne la dinamica e i componenti per poi farli interagire con i personaggi del suo ultimo romanzo «Il Matto delle Ore» (Scatole parlanti, pp. 126, 15 euro). Dopo il romanzo “musicale” d’esordio «La coda del Pavone», dove erano i leggendari testi dei Pink Floyd a fare da fil rouge e da sfondo ad un mistero che si dipana tra la città ed il lago di Garda, ora lo scrittore bresciano propone un libro che parla della scansione del tempo e delle complicazioni che ad essa possono associarsi. Ma anche di nostalgia, di sentimenti e, ancora, di qualche arcano da scoprire, in un gioco di rimandi tra presente, passato e futuro.
Doppia anima
Del resto Zanatta, che ha una laurea in Ingegneria, di macchine e dispositivi sicuramente se ne intende, sebbene la sua “doppia anima” (è anche componente del Corpo bandistico di Prevalle) lo porti ad oscillare in un intrigante connubio tra arte e misurazione. Posto che, Platone lo insegnava tra i primi, il ritmo musicale altro non è che una questione di numeri; “misurazione” appunto. Tutto parte, a quanto pare (così l’autore ha avuto modo di spiegare) «da un orologio da taschino, che è stato tramandato nella mia famiglia da nonno a nipote. Quindi il mio bisnonno lo lasciò a mio padre che, a sua volta, lo regalò a mio figlio».
«Il Matto delle Ore» ruota attorno alla figura di Mariso, un istrionico orologiaio che vive al Carmine, cuore della Brescia storica, contrada - scelta non a caso - ricca di testimonianze artistiche ed emblema di tradizioni che l’autore dissemina sapientemente nell’intreccio narrativo.
«Le complicazioni lasciamole agli orologi, che hanno tempo da perdere. Non a noi, che non sappiamo mai di preciso quanta carica ci rimane»: questa, diciamo, la “summa” filosofica del protagonista. All’improvviso, qualcosa di inaspettato piomba nella sua quotidianità, inducendolo a rievocare emozioni, ricordi e conoscenze ormai sepolti, con la complicità di amici vecchi e nuovi. Mariso si ritroverà suo malgrado a fare i conti con qualche fantasma del passato e, con il prezioso aiuto di altri personaggi chiave del libro, darà il via ad una indagine che lo porterà a passare per alcuni dei luoghi più suggestivi della nostra terra (come Montisola) e ad approdare, infine, all’interno della Torre dell’Orologio, dove Tone e Batista, i «macc dè le ure» appunto, scandiscono le ore da molti secoli. Anche questo, tutto sommato, uno dei misteri del tempo.
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