In Cavallerizza il dialogo artistico tra Brescia e Bergamo nell'anno di Capitale
Giochi di affinità e contraddizioni, dove le differenze si incontrano e generano confronti, dialoghi. Come in una città. Come nelle città che quest’anno sono Capitale della Cultura.
Bergamo e Brescia si uniscono di nuovo, si compenetrano nel segno dell’arte contemporanea, riflettendo una condizione esistenziale e sociale dai confini ben più ampi e articolati. Nasce così la mostra «Presente inquieto. Artisti di Bergamo e Brescia nella contemporaneità», che inaugura sabato alle 18 nella sala della ex Cavallerizza in via Cairoli in città, promossa dall’Associazione Artisti Bresciani e dalla Scuola di Bergamo, Associazione Culturale Allievi e Sostenitori dell’Accademia Carrara di Belle Arti.
Il progetto
Due città (dal 14 ottobre la mostra si sposterà a Bergamo), quattro curatori (Giovanna Galli e Fausto Lorenzi per Brescia, Stefania Burnelli e Fernando Noris per Bergamo) e cinquanta artisti (metà bresciani e metà bergamaschi), con l’intento di offrire al pubblico «una ricognizione puntuale, approfondita, riassuntiva del modo di produrre arte nei due territori negli ultimi decenni», come ha sottolineato il presidente di Aab Massimo Tedeschi. «I curatori - commenta la sindaca Laura Castelletti - hanno selezionato gli artisti fra coloro che hanno consolidati percorsi alle spalle e, pur avendo meritato proiezioni nazionali e internazionali, hanno mantenuto saldi legami con la scena locale».
«È stata una sfida - afferma Giovanna Galli -. Abbiamo cercato di compenetrare tante esigenze, e ci auguriamo di essere riusciti a creare un momento di incontro e di riflessione che possa offrire risposte al senso di inquietudine che domina il nostro presente». «È una mostra che vuole creare relazioni tra opere e artisti - aggiunge Fausto Lorenzi -. Attraverso le loro opere prende forma, crediamo, una panoramica inedita e suggestiva dei percorsi che l’arte contemporanea ha scritto e scrive nelle due provincie contigue». «Dal raffronto - proseguono i curatori bresciani - che avviene per la prima volta attraverso un’unica mostra, emergono affinità e originalità, consonanze e diversità d’accenti, percorsi individuali e sensibilità corali, e soprattutto una comune, possente tradizione di maestrìa tecnica, che affonda le radici nel passato ed esprime, con linguaggi contemporanei, le accensioni e i tormenti del nostro tempo».
Il percorso
Il risultato è una mostra densa, complessa ma allo stesso tempo intuitiva, che gioca su assonanze tematiche e dissonanze stilistiche, per rendere conto del rapporto tra realtà e finzione nella società e nell’arte delle due città negli ultimi tre-quattro decenni. Sono relazioni «mobili»: le opere non vivono separate le une dalle altre, stringono amicizie e analogie, contatti e antitesi, anche grazie a un allestimento, realizzato da DVarea con pannelli autoportanti e autoilluminanti, che consente di muoversi liberamente negli spazi dell’ex Cavallerizza.
All’ingresso troneggia il bronzo «Mater amabilis» di Giuseppe Rivadossi (2000), che fa da quinta alla «Figura distesa su tavolino a mosaico e tappeto» di Giuseppe Bergomi (bronzo, 2004), mentre tutt’attorno le opere di Piero Almeoni e Alfa Pietta convivono con i dipinti di Giuseppe Gallizioli, Giulio Mottinelli e Paolo Petrò. Il percorso espositivo vira poi a destra, verso le installazioni «Mani» ed «Ex voto» di Antonella Gandini.
«Scuola bresciana»
«Sul fronte bresciano - chiariscono Galli e Lorenzi - non si sono trascurate le corrispondenze tra la realtà locale e le vicende nazionali e internazionali nelle arti visive, ma si è cercato di sondare l’eventuale persistenza di una particolare inclinazione, specificità o impronta del fare arte a Brescia, che confermi la percezione di una scuola bresciana intesa come civiltà artistica indipendente nell’attenzione prioritaria, anzi nell’apprensione ansiosa e sollecita, per l’uomo e la condizione umana. Non per nulla, in più opere scelte scorre anche la ferita collettiva della pandemia di Covid-19».
Così è, per esempio, nel «Filo conduttore» di Margherita Serra (2023), un’installazione che l’artista bresciana ha realizzato appositamente per questa mostra: una rielaborazione dei suoi «Corsetti» marmorei, che associa al tema della gabbia lo spirito vitale della resilienza.
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