Il viaggio di Camarillo tra disegni al ritmo di jazz
Guarda di lato spostando solo gli occhi neri, lascia che un sospiro gli esca dal petto e si confida: «Nessuno mi chiama Giovanni, ahimè. Soltanto un paio di amiche, ma per tutti sono Gianni Jazz, perché mi conoscono per i concerti».
Oppure lo chiamano Camarillo, aggiungiamo noi, come l’ospedale in cui si disintossicò Charlie Parker, o come il negozio di musica che da quarant’anni gestisce col fratello Beppe, in via Calzavellia, pieno centro. Vinili e cd, che ormai non si vendono più mentre i primi sono tornati (un po’) di moda, tipo le barbe e il risvoltino. «Siamo rimasti solo noi lì, gli altri negozi sono diventati tutti garage».
Camarillo. Ma c’è ancora? - ci si chiede. Onestamente, era uscito dai radar. «A volte a stare lì mi girano un po’», e non ha bisogno di specificare cosa. Quindi passa il tempo disegnando, lo fa da venticinque anni abbondanti a dire il vero, ben prima che i clienti si diradassero, e ci sono voluti diversi amici per convincerlo del fatto che quel materiale non era da buttare, anzi.
Potete farvene un’idea andando alla Galleria dell’ombra, in via Nino Bixio, dove da ieri sera è allestita la mostra di Camarillo, «Box & Chaos», un titolo che rende bene il concetto (fino al 31 agosto, ingresso libero, tutti i giorni dalle 19 all’1 di notte). Sono intarsi mentali, quelli di Gioacchini, che si dispiegano su fogli sparsi, retro di poster, scatole di cartone con cui i corrieri consegnano i vinili, pannelli di compensato.Usa pastelli a cera, pennarelli, anche gli Uniposca che a volte sbrodolano, matite, penne a sfera. Come i disegnini che facevamo durante le lunghe telefonate ad amici, fidanzate o fidanzati dal fisso, quando ancora si usava, ma portati all’estremo, fino a completare un viaggio che riprende, inesorabilmente, sul foglio successivo.
«Uso tutto quello che mi capita, quello che faccio non è preordinato. Se mi organizzo un po’ non combino niente». Improvvisa, insomma, come col jazz. «Sì, puoi vederci anche un po’ di jazz. Il jazz è la mia vita».
«Guarda che questa è art brut vera», dice Paolo Mucciarelli passando con gli attrezzi, mentre completa l’allestimento nel locale. È lui che ha convinto Camarillo a fare una mostra, vincendo la sua naturale ritrosia. «Questa è la seconda, la prima devo averla fatta nel 2009, a Botticino, durante un festival jazz». Si parla di questi quadri, definizione impropria, ma si finisce subito nella musica.
«Nel nostro negozio sono passati Dexter Gordon, Dizzy Gillespie, Steve Lacy», racconta. E anche Paolo Conte o Alice, aggiunge il fratello. Il soprannome Gianni Jazz, Camarillo se l’è guadagnato frequentando e organizzando concerti per anni. Molti se lo ricordano col suo microfono, o attaccato al mixer, impegnato a registrare i bootleg. «Ho migliaia di registrazioni di concerti jazz a casa. Oppure di Tom Waits, vado pazzo per lui». Poi ci sono i vinili. Quanti? «Non lo so nemmeno, ce ne sono diversi che valgono molto, anche mille euro. Ma non li vendo, dovrei essere proprio con le pezze... anzi, nemmeno. I dischi sono l’ultima cosa che si tocca».
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