Cultura

Il sax di Tonolo reinventa melodie e incanta il Grande

Pietro Tonolo ha aperto ieri sera la prima edizione della «Grande notte del jazz», salutata da un ottimo successo di pubblico
  • Pietro Tonolo al Grande
    Pietro Tonolo al Grande
  • Pietro Tonolo al Grande
    Pietro Tonolo al Grande
  • Pietro Tonolo al Grande
    Pietro Tonolo al Grande
  • Pietro Tonolo al Grande
    Pietro Tonolo al Grande
  • Pietro Tonolo al Grande
    Pietro Tonolo al Grande
  • Pietro Tonolo al Grande
    Pietro Tonolo al Grande
  • Pietro Tonolo al Grande
    Pietro Tonolo al Grande
AA

Pietro Tonolo non deve fare le ore piccole per essere il «sax ex machina» della «Grande notte del jazz». Accompagnato da Giancarlo Bianchetti (chitarra) e Marco Frattini (batteria) il saxofonista di Mirano ha lucidato ieri sera, per la platea della sala principale del Teatro Grande, un jazz serpentiforme, sgusciante e avvezzo alle metamorfosi. L’abbrivio del concerto è affidato a «Onirico». E mai titolo poteva essere più consono a una concezione musicale fluida, dove al tappeto sonoro della chitarra (sostenuta dal delicato drumming di Frattini) si contrapponeva il fraseggio caldo di Tonolo, qui memore della tradizione dei grandi epigoni del sax.

L’umore cambia in fretta e «Basketball» si muove in territori più liberi, melting pot di dissonanze e ubriacanti impennate di suono. I tre dialogano serrati, esplorano un groove funky (ancora in cerca di titolo) che sfuma in un’improvvisa apertura melodica capace di incatenare le menti a pensieri languidi, forse un po’ lascivi.

Le coloriture strumentali di Tonolo (che si destreggia tra tenore, soprano e flauto) sono contrafforti di architetture leggiadre, che ospitano sia brani originali sia riletture di standard, come l’omaggio (spigoloso e sincopato) a Monk, di cui corre il centenario della nascita. Cent’anni, Tonolo ne è convinto, portati benissimo. Ed è proprio nel confronto con uno dei padri nobili del jazz che emerge la vena priva di scrupoli dei musicisti, pronti a cercare scampoli di follia neurotica nei solchi monkiani con un arrangiamento - dettato dal flauto traverso - che ha il profumo della segatura e del tendone da circo.

Gli spazi sono troppo serrati perché la platea (affollata in virtù del tutto esaurito) possa intervenire con applausi tra un tema e l’altro. L’esibizione volge rapidamente al termine: come un tuareg Tonolo conduce tra le dune di sabbia di «Oclupaca» di Duke Ellington, poi si accomoda in un ridente «Sushi bar». Il clima è di tenue complicità. Tonolo soffia i suoi pensieri nel flutax, strumento di sua invenzione che è anche il titolo di un brano dalle sottile patina malinconica. La musica di Tonolo è tutta qui: un placido gioco a perdersi e ritrovarsi, sotto cieli intossicati di musica senza etichette.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato