«Il Savoldo ritrovato» in mostra dopo 80 anni
Il 29 novembre, nella prestigiosa residenza dei Marchesi Zaccaria a Bordolano, sarà restituita alla Storia dell’arte italiana un’opera di Giovanni Gerolamo Savoldo. Il dipinto, un olio su tela (cm 62 x 67), dopo l’ultima comparsa ufficiale nell’anno 1939 - nella mostra «La Pittura Bresciana del Rinascimento», allestita in quello che al tempo era detto «Palazzo della Pinacoteca Comunale Tosio-Martinengo» - era «sparito» dalla cronaca che di arte parla, così come dal mercato, facendo perdere le sue tracce. Ma venerdì prossimo, alle 20.30, nel salone del palazzo in via Maggiore 50, là dove la provincia bresciana confina con l’agro cremonese, il «Ritratto d’uomo in arme» verrà riconsegnato alla critica, celebrato con un filmato realizzato dal regista Giacomo Andrico, descritto negli stilemi e sviscerato nei contenuti dal giornalista Tonino Zana.
Non solo: sarà presentato in un catalogo stampato per l’occasione (ed. Compagnia della Stampa Massetti-Rodella, 48 pagine, 13 euro), dal titolo, appunto, «Il Savoldo Ritrovato»; soprattutto, sarà gentilmente concesso per l’esposizione dall’attuale proprietario. L’opera, si diceva, è assente dai cataloghi e dalle mostre da circa ottant’anni, essendo entrata in una collezione privata. Così, il Ritratto d’uomo (un armaiolo?), come viene titolata la teletta dal critico Adolfo Venturi, è stata dimenticata dalla critica e dal mondo, sino al punto da essere considerata perduta. Dalla seconda metà dell’Ottocento risulta in catalogo nella collezione del Barone Edgardo Lazzaroni (nato nel 1892), che la ereditò dal padre Michele Angelo Luigi (nato nel 1863), raffinato collezionista di opere d’arte italiane. La notevolissima raccolta, soprattutto di pitture rinascimentali, era stata messa insieme dal Barone, di origine cremonese, e dalla moglie viscontessa Maddalena de Bresson, nata a Washington nel 1866.
La tela, dicevamo, viene attribuita al pittore bresciano Savoldo dal Venturi, uno dei massimi critici d’arte di tutti i tempi (maestro di Roberto Longhi, del Toesca e di Giulio Carlo Argan). Scrive: «Vi è in questo ritratto un esempio singolare dei notturni romantici del Savoldo. Il cielo va gradatamente illuminandosi ma la massa cupa del bosco è ancora all’oscuro; solo una luce improvvisa schiarisce il bel volto dell’uomo e si riflette sull’acciaio brunito dell’elmo...». Non si conosce con esattezza l’anno e nemmeno dove Gerolamo Savoldo sia nato. Le ipotesi fatte sono tante, tra queste quella che il pittore sia di origine orceana: idea consolidata più oggi che ieri. Gaetano Panazza afferma che «... dei tre maggiori pittori bresciani: Savoldo, Moretto, Romanino, Savoldo fosse il più anziano». E continua: «... oggi si crede oriundo di Orzinuovi... avendo, la sua famiglia abitante in Orzinuovi, un titolo di nobiltà d’ambito cittadino e non di origine istituzionale o feudale...».
L’opera. Sfugge ancora, o comunque non è di facile lettura il codice celato nella produzione artistica del Savoldo. Il suo processo avverte la contraddizione tra la ricerca della «realtà», che è la cifra della Scuola Bresciana, e la cultura veneta alla quale, sin da subito, l’artista aderisce con impeto e lucidità. Per Gerolamo le «cose del mondo» conservano, pur immerse come sono nell’infinito universo, la dignità del «vero», a favorire il dialogo tra opera e fruitore, coinvolgendo l’attenzione dello spettatore per via di suggestioni che vincono e convincono. Sublime malinconia. Nel Ritratto d’uomo questa forza che suggestiona è espressa con palese, sublime malinconia. Anche qui Savoldo, da sensitivo qual è, cerca i riverberi meno abbacinanti della materia pittorica, e lancia un dialogo oracolare che si esprime però senza ciarlare, con raffinato gusto. Ecco allora in primo piano una «sacra conversazione» privata, segreta, esoterica. La luce è esigua, si riverbera in primo piano, così come sullo sfondo, a costruire chiari e scuri che plasmano la materia. Mentre il «lume» diventa luce, le «cose» diventano visione.
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