Il Salone e i libri consigliati dalla redazione del GdB a maggio
Quando Joël Dicker ieri è arrivato al Salone del Libro di Torino è stato accolto da un'ovazione. Nel pubblico c'erano moltissime persone giovani e l'autore svizzero che con il suo Un animale selvaggio è da settimane in testa alle classifiche, racconta Alberto Infelise su La Stampa, si è commosso. I libri hanno anche questo potere: connettono le persone, creano spazi di vita immaginaria in grado di generare legami e ponti, come scrive qui sotto Paola Carmignani, penna acuta e ironica, colonna portante di questa rubrica.
Ecco per maggio i libri consigliati dalle giornaliste e dai giornalisti del Giornale di Brescia. Qui potete trovare il numero di aprile.
«Lucy davanti al mare»
di Elizabeth Strout
(traduzione di Susanna Basso, Einaudi, 2024, pp. 232, euro 19, e-book 9,99 euro)
Che cosa cerca un lettore in un libro? Per quello che mi riguarda, non cerco – come a volte si dice – una «storia», ma uno scrittore da amare. I lettori come me prediligono gli autori che si lasciano leggere nell’animo (nell’anima?) attraverso personaggi-alter ego. Di tale fatta è Elizabeth Strout, una delle maggiori narratrici contemporanee. L’autrice americana il 9 maggio ha aperto il Salone del Libro di Torino con una Lectio, e poi ha presentato il suo nuovo libro «Lucy davanti al mare».
Lucy, appunto. La scrittrice-personaggio, già al centro di «Mi chiamo Lucy Barton» e «Oh William»: la ritroviamo all’inizio del 2020 a New York, dove giungono le prime avvisaglie del virus. Lei, come tanti, non sa quello che attende il mondo, un’esperienza collettiva sconvolgente, di cui si era perduta la memoria storica. È il suo ex marito William, scienziato ben consapevole di cosa sia un virus, a prendere l’iniziativa: convince la frastornata Lucy a lasciare il suo appartamento nella metropoli per andare a vivere, loro due, in una casa nel Maine, affacciata sull’oceano. Ancora incredula, Lucy inizia a raccontare, come in un diario, la sua vita: le nuove relazioni che riesce a stringere, la nostalgia e la preoccupazione per le figlie lontane, il graduale distacco dalla sua vita precedente. Accadono molte cose, nell’orizzonte di Lucy, ma sono le cose di tutti i giorni, le piccole e grandi cose della vita. Ed è proprio la vita, nella sua verità - la quotidiana resistenza dell’uomo ad ogni avversità - a rendere le pagine di questo libro così intime ed essenziali. Strout intende essere una scrittrice «utile», il suo lavoro vuole aiutare le persone a vivere e a comprendere. Per questo i suoi libri non si leggono, ma si amano e si condividono con le persone a cui si vuole bene. Nonostante le brutture del mondo, la letteratura continua a preservare l’umanità dell’uomo, ad aprire lo sguardo sulla bellezza, la gentilezza, la profondità dei pensieri. Nel tempo del buio della ragione, della chiusura al sentire altrui, gli scrittori costruiscono ponti per un futuro che si vuole continuare a pensare possibile.
(Paola Carmignani, redazione Cultura e Spettacoli)
«Vita immaginaria»
di Natalia Ginzburg
(Einaudi, 2021, pp. 240, 13 euro, e-book 7,99 euro)
Onestà e coraggio sono le conosciute doti di Natalia Ginzburg che si ritrovano, esemplari, anche in quel «Vita immaginaria» cui s’ispira il Salone del libro in corso in questi giorni a Torino. Si tratta di una raccolta di una trentina di articoli pubblicati tra il 1969 e il 1974 sulla Stampa e sul Corriere della Sera più lo scritto che dà il titolo alla raccolta e fu pubblicato per la prima volta con essa, nel 1974.
«Nel panorama italiano la Ginzburg è poco italiana perché non si preoccupa di fare bella figura», scrive Domenico Scarpa nella postfazione dotta e appassionata con cui il volume è tornato nelle librerie quasi mezzo secolo dopo, nel 2021. Ed è vero, viene da pensare leggendo i testi in cui Ginzburg giudica senza giri di parole opere letterarie e cinematografiche (utilizzando spesso espressioni come «mi piace»/«non mi piace», «più bello»/«meno bello», certo seguite da solide argomentazioni); e quelli in cui assume posizioni destinate a dividere, urtare, indignare, come nel caso di «Gli ebrei», che uscì sulla Stampa il 14 settembre 1972, dopo l’attentato alle Olimpiadi di Monaco, e ancora oggi – soprattutto oggi – non può lasciare indifferenti. Ma Ginzburg si pronuncia in modo tutt’altro che scontato anche su politica e femminismo, città e famiglie, libertà e poesia e molto altro; restituisce situazioni, temi e personaggi con sguardo limpido, con la sua «cocciuta capacità – scrive ancora Scarpa – di farsi ottusa di fronte alla realtà, di fronte a ogni novità, e proprio per questo massimamente attenta».
Quanto alla vita immaginaria, Ginzburg non ne dà una definizione, ma ne descrive l’andamento in relazione alla vita reale (e anche a quella creativa con cui non va confusa) nelle diverse fasi dell’esistenza, fino al momento del riconoscimento dell’«inesorabilità nella vita di ogni giorno». E, rileggendo gli scritti del volume alla luce dell’ultimo, non sarà forse azzardato fare qualche esempio di quel che “vita immaginaria” può anche essere: un verso nel dialetto gradese di Biagio Marin mai più dimenticato, la scoperta definitiva dei racconti di Antonio Delfini, il ricordo di un incontro con Bargman, il tempo imperfetto usato da Goffredo Parise.
(Francesca Sandrini, vicecaposervizio redazione Cronaca e provincia)
«La nebbia del passato»
di Leonardo Padura Fuentes
(Marco Tropea Editore, 2008, disponibile online solo usato prezzo 8-16 euro)
Una biblioteca. Straordinaria, colma di volumi introvabili, secolari, il sogno di ogni collezionista, un tempio per un cultore della storia editoriale. Al suo interno un leggendario libro di ricette cubane, non meno raro, ripescato per caso, quasi a dire che il sapere più profondo ha a che fare con i sensi, gusto in primis. Tra le sue pagine, un ritaglio di giornale che riproduce il ritratto di una cantante di bolero dell’Avana che fu, mentre la revolucion spegneva le luci della Las Vegas dei Caraibi. Un addio alla scena pubblica, quello annunciato a corredo dell’enigmatica fotografia, carica di magnetica sensualità, che diviene per il protagonista, Mario Conde, ex tenente della polizia cubana, colto e atipico, ora nel business dei libri usati, un richiamo irresistibile, per ricostruire una storia, che finirà con l’intrecciarsi anche alle vicende della sua famiglia.
Quella miniera di carta, scoperta per caso in una villa dimenticata dal tempo che potrebbe fruttare migliaia di dollari all’affamato ex sbirro, si traduce invece in un balzo all’indietro attraverso le pieghe di un passato recente eppure lontanissimo, di atmosfere piene di fumo, note, voci, luci soffuse, di caldo e passioni tropicali. Ma anche di dolori nascosti, di amori segreti, di terribili rivelazioni, capaci di scuotere ancora a distanza di decenni i più remoti e sordidi angoli dell’Avana.
Attorno al Conde – protagonista di un’altra mezza dozzina di romanzi di Leonardo Padura Fuentes, da «Passato remoto» (1991) al più recente «La trasparenza del tempo» (2019) – ruota l’immancabile gruppo di amici di sempre, ex compagni di scuola sulle cui vite si è stesa come un sudario la storia travagliata di Cuba. Tra crucci esistenziali, dilemmi etici, interrogativi che aleggiano sopra la miseria, la nebbia del passato che da verso di bolero si fa titolo del romanzo si dissipa, una pagina via l’altra. Lasciando in bella vista un groviglio di passioni, laceranti e irriducibili, da tragedia greca. Scritto con potenza evocativa eppure una formidabile ironia, si legge come si attraversa una rovente notte d’estate, senza alternative.
(Gianluca Gallinari, vicecaporedattore)
Verdure arrabbiate. La fabbrica delle cose inutili
di C. Gobbetti, D. Nikolova
(Sassi Junior)
Età di lettura consigliata: dai 4 anni
Tutto comincia con uno starnuto. «Etciu», fanno le zucchine. Poi tocca alle melanzane, ai piselli e ai peperoni. In men che non si dica tutte le verdure del villaggio si ammalano. Il Fronte Investigativo Ortaggi in poco tempo scopre la causa: hanno tutte bevuto l'acqua inquinata dalla fabbrica in cima alla collina, dove il signor Riccanza, con avidità e senza alcuno scrupolo, produce in gran quantità oggetti futili e inutili, ma che vogliono tutti.
Portato in tribunale, Riccanza crede di poter risolvere la questione col denaro, ma le verdure arrabbiate non gliela faranno passare liscia. Solo quando un cavoletto di Bruxelles lo condannerà a bere un bicchiere di acqua dal colore violaceo, inquinata dalla sua stessa fabbrica, Riccanza si renderà conto delle conseguenze che fin qui hanno avuto le sue azioni e se ne pentirà, riconvertendo la produzione della fabbrica.
Una lettura divertente e ironica per parlare ai più piccoli di inquinamento, degli effetti che ha su ambiente e salute e di quanto sia importante rispettare la natura.
(Clara Piantoni, redazione Teletutto)
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