Il ritorno dei King Crimson: cresciuti non solo nei numeri
Quarantadue anni dopo il non certo dimenticato ma non per questo indimenticabile concerto del 20 marzo 1974 all’Eib, un agguerrito manipolo di bresciani sabato sera si è ritrovato al Teatro degli Arcimboldi per la prima tappa italiana de “The elements of King Crimson tour 2016”, promosso dall’altrettanto bresciano Adolfo Galli.
Tutti concordi, dopo quasi tre ore di concerto, nell’affermare che nel frattempo il gruppo era cresciuto. E non solo numericamente, passando dalla formazione a quattro di allora (Fripp, Wetton, Bruford e Cross) agli attuali sette elementi, con il sol(it)o Robert Fripp a dare continuità al progetto, ma soprattutto in qualità, oltre che in generosità (a Brescia avevano di poco superato i 90 minuti).
In un teatro sold out da parecchie settimane, come d’altronde per gli altri sette appuntamenti nella Penisola, i King Crimson hanno infatti proposto 26 brani senza una sbavatura, ma anzi con un “tiro” e una pulizia stupefacenti. Così come è stata sorprendente, almeno per chi non aveva dato una scorsa alle scalette dei precedenti concerti, la decisione di Fripp di proporre una sorta di greatest hits della vasta produzione del gruppo, attivo, sia pure con qualche pausa di riflessione (senza puntini) dalla fine degli anni Sessanta. Questo perché il piccolo grande uomo del Dorset ci aveva abituato a scelte al limite dell’impopolarità, come in occasione dell’ultima apparizione in terra bresciana, nella prima notte d’estate del 2000 al Vittoriale, quando aveva proposto esclusivamente pezzi degli ultimi lavori, ignorando quasi sdegnosamente gli album più amati e concedendo qualcosa di popolare soltanto in occasione del terzo bis, “Heroes” di David Bowie, nel quale Fripp aveva a suo tempo messo più della chitarra che sostiene il pezzo. Sabato 5 novembre invece ha pescato a piene mani dai primi sette album, pubblicati tra il ’69 e il ’74, quelli che hanno regalato l’immortalità il gruppo.
Di più. Fripp si è attenuto quasi filologicamente agli originali in studio, semplicemente irrobustendoli con le tre-batterie-tre che facevano bella mostra di sé nella prima fila sul palco (da sinistra a destra di chi guardava e di voi che immaginate, Pat Mastelotto, Jeremy Stacey – l’ultimo arrivato alla corte del Re Cremisi, prezioso anche alla tastiere– e Gavin Harrison), con alle spalle, nello stesso ordine, uno dei primissimi collaboratori di Fripp, Mel Collins ai sax e al flauto, Tony Levin, bassista con oltre trent’anni di militanza nel gruppo, il chitarrista e cantante Jakko Jakszyk, la cui voce ricorda quella del giovane Greg Lake, protagonista nel primo album e… mezzo (i turnover in casa King Crimson sono sempre stati frequenti e improvvisi, nemmeno Zamparini fosse un epigono di Fripp…) e naturalmente il leader maximo, chitarre e tastiere, al solito impassibile se non proprio immobile. Sette uomini d’oro, affiatati e infallibili, capaci di rendere avvincente la perfezione, che per sua natura tende ad essere stucchevole.
E invece siamo tutti usciti ammaliati da un suono pulito e convinto, ricco e trascinante. Il Re è vivo, viva il Re.
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