Cultura

Il piccolo uomo (e il suo kayak) nell'immenso Grand Canyon

Spettacolare spedizione per un gruppo di bresciani che in due settimane hanno percorso il Colorado river in canoa
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Sentirsi piccoli nell'immensa natura. Rispettosi e affascinati al cospetto dell'imponente lavoro del Colorado river. Un impegno millenario per scavare il deserto, creare anse e strapiombi, disegnarsi un letto arzigogolato e scenari mozzafiato.

Vivere da dentro il Grand Canyon è privilegio di pochi. Le richieste ogni anno sono migliaia, i rangers centellinano gli ingressi, solo una lotteria può farti passare in cima alla lista.

E dopo qualche tentativo, un gruppo di bresciani ce l'ha fatta: il ticket è fioccato nelle mani di Sergio Bazzani (il trip leader) che ha deciso di portare con sè altri sette amici di kayak. Un gruppo esperto, capace di affrontare uno dei percorsi più duri in termini di permanenza e più affascinanti sotto il profilo paesaggistico.

Comagni di spedizione di Sergio, Antonio Fierro, Giovanni Mortin, Enrico Musatti, Mauro Vezzoli, Ettore Archetti, Billy Gazzo e Fabian Mognoldi sono partiti a fine luglio per passare 14 giorni nel deserto. Sei kayak e due gommoni per percorrere 226 miglia in Arizona, da Lees Ferry a Diamond Creek

226 miglia tra rapide e acque calme. Su due gommoni il gruppo ha caricato tutto il necessario per affrontare l'avventura: tende, cibo, fornelletti, un filtro per poter depurare l'acqua del fiume e renderla potabile.

Dopo un'ora e mezza di lezione dei rangers, la partenza. Solo loro, le canoe, i gommoni e un telefono satellitare da utilizzare in caso di emergenza perché nel deserto non c'è campo. Un solo punto di uscita tra Lees Ferry e Diamond Creek: un canyon laterale che conduce alla normalità in dieci ore di cammino. Per 14 giorni, dunque, gli otto avventurieri sono stati soli in compagnia della natura (e capre, rane, pesci, furetti e crotali, meglio noti come serpenti a sonagli).

Ogni giorno una spiaggia lasciata libera dal Colorado è stata trasformata nel campo base, dove a sera spuntavano tende smontate l'indomani per una nuova partenza. Ogni giorno lo stesso rito, ogni giorno uno scenario diverso. Claustrofobico sempre, ma mai uguale a se stesso.

Il cielo, quello del deserto, è il cielo della via lattea. Un cielo che laggiù, nel Colorado River, sembra ancora più lontano. Le rapide - raccontano gli avventurieri - somigliano più a una mareggiata. Le rocce dilavate dalla pioggia consegnano al fiume un limo scuro, che lo tinge di marrone.

Nessun racconto, nessuna immagine può davvero trasmettere la sensazione di pagaiare per chilometri lungo il Colorado. La percezione è di assoluto isolamento, di assoluto rispetto per ciò che la natura sa fare.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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