«Il nostro docu-musical sui braccianti indiani»
Facile dire docu-musical, molto più delicato e rischioso il compito di realizzare un film ibrido, che intrecci i due generi mantenendo alto il livello di autorevolezza dell’inchiesta.
Il nodo della questione risiede nella necessità di trovare il giusto equilibrio tra la ricerca dei dati di cronaca - da esplicitare grazie a storie di persone reali - e la funzione degli "intervalli" cantati, arricchiti da coreografie.
La sfida è vinta per «The Harvest», documentario che denuncia lo sfruttamento dei braccianti indiani nelle campagne dell’Agro Pontino, prodotto dalla Smk Videofactory dei bresciani Andrea Paco Mariani - che firma la regia - e Nicola Zambelli, in anteprima nazionale dopodomani, venerdì 22 dicembre, al cinema Nuovo Eden, in città (via Nino Bixio, 9 - proiezioni alle 20.30 e alle 22.30, entrambe con gli autori in sala; ingresso 5 euro, ridotto 4 euro; prenotazione consigliata, informazioni: tel. 030.8379404).
«L’idea di mescolare i linguaggi audiovisivi - spiega il regista - è nata non solo dal desiderio di sperimentare (siamo all’8° film e sempre alla ricerca di nuovi orizzonti qualitativi), ma anche dalla consapevolezza che, per alzare il sipario sulle tante ingiustizie perpetrate ai danni dei lavoratori della comunità Sikh - proprio mentre la filiera dell’agroalimentare italiano mette in mostra le proprie eccellenze - fossero necessarie scelte narrative forti. Insomma, consideriamo anche la struttura del film un buon punto di partenza per innescare un dibattito sulla giustizia sociale».
«The Harvest» squarcia il velo dell’indifferenza portando in superficie le testimonianze delle vittime di caporalato, quelle degli operatori del sociale, con due voci appartenenti alla seconda generazione di Sikh che oggi si spendono per i diritti dei migranti, e le ricerche del sociologo Marco Omizzolo, compreso lo sconvolgente dossier «doparsi per lavorare», che evidenzia la diffusione di consumo di sostanze stupefacenti tra i braccianti per reggere i ritmi di lavoro (turni da 14 ore, retribuite dai 2 ai 4 euro ciascuna, domenica inclusa).
La cornice. In questo contesto, la cornice del musical diventa uno strumento utile a mettere in scena gli sfruttatori, ovvero quei datori di lavoro più spesso definiti dai Sikh «padroni». È così che il musicista bresciano Stephen Hogan (accompagnato dalla sua band Slick Steve & the Gangsters) si cala in modo convincente nel ruolo di sfruttatore: recitando prende di mira il contadino Gurwinder, mentre quando canta i brani della colonna sonora originale, scritta dall’antropologo Claudio Cadei, ne narra i disagi.
La musica diventa così il collante culturale del film: dalle danze indiane dei Bhangra Vibes all’esplosione energica del blues, che evoca l’anelito di riscatto degli schiavi nelle piantagioni.
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