Cultura

Il nono Sanremo di Renga: «Il festival è un segno di speranza»

Il cantante bresciano in gara con il brano Quando trovo te, un brano che esplora il concetto di «oblio salvifico»
Francesco Renga - Foto © Toni Thorimbert
Francesco Renga - Foto © Toni Thorimbert
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Nono festival per Francesco Renga, ma anche e soprattutto nona partecipazione a 30 anni dalla prima nel 1991, in gara tra le Nuove Proposte con i Timoria (e vanta anche una vittoria nel 2005 con Angelo). 

«Tornare a Sanremo non ha mai avuto per me un significato più profondo - racconta il cantante, che all'Ariston porta il brano Quando trovo te, scritto con Roberto Casalino e Dario Faini - non è solo la gioia di tornare su quel palcoscenico, in quel contesto così importante per la musica e per il mio lavoro. Questa volta significa ricominciare finalmente a farlo, il mio lavoro. Dopo mesi di nulla. Il festival assume un grande valore simbolico: significa ripartire insieme con tutto il Paese. Sanremo diventa così il simbolo stesso di una ripartenza del mondo dello spettacolo, per troppo tempo lasciato indietro, e un segnale di speranza». 

Quando trovo te, accolta tiepidamente dagli addetti ai lavori («ma sono sicuro che nelle cinque serate del festival crescerà») esplora il concetto di «oblio salvifico»: dimenticare come forma di protezione e come riparo da una vita che spesso ci costringe alla fretta. Racconta del momento in cui i ricordi felici che teniamo nascosti in fondo al cuore, al riparo dalla quotidianità, all'improvviso riaffiorano potenti. «E penso ad esempio a quando in vacanza in Sardegna mio nonno mi veniva a svegliare alle 6 del mattino per andare a dar da mangiare agli animali. I ricordi ci riportano a situazioni di normalità che ci danno la felicità». 

Al momento l'orizzonte artistico è su Sanremo. «Non c'è nell'immediato l'idea di fare un album. Forse verso la fine dell'anno, ma per ora sto dando libero sfogo alla mia creatività». Rispetto a quel ragazzo di 22 anni che salì sul palco 30 anni fa, «a parte i capelli bianchi, ho sempre la stessa urgenza di farmi sentire. Quella non è mai mutata nel tempo», racconta ancora Renga che si sente «non il nonno, ma lo zio dei tanti giovani che sono in gara con me, segno di un vero cambio di passo che ha avuto il festival in questi 30 anni. A loro dico: non perdete quella luce che avete, quella scheggia di follia e incoscienza che porta ciascuno di noi sul palco. Io, invece, sono contento di giocarmela sul campo con loro e di essere rimasto collegato alla realtà del panorama musicale italiano». 

Sempre a quel ragazzo, che tanta strada ha fatto, l'artista vuole mandare un messaggio nella bottiglia: «Al Francesco del passato voglio dire che le cose arrivano, ma che nessuno può farcela da solo. E un'altra cosa: la felicità non deve spaventare. Bisogna avere voglia di cercarla e di pretenderla. Io mi ritengo di essere stato un uomo fortunato, ho tutto quello di cui ho bisogno e anche di più».

 

 

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