Il Muro del Canto: «Noi e le storie che bisogna raccontare»
Ci sono muri che non sono fatti per creare barriere, ma per superarle. Vale per Il Muro del Canto, gruppo musicale attivo dal 2011 che - pur esprimendosi prevalentemente in romanesco - è ormai conosciuto in tutta Italia. Potenza di un brano come «7 vizi Capitale», scritto e inciso con Piotta, divenuto la sigla finale della serie tv «Suburra»; e merito, soprattutto, di uno stile riconoscibile, fondato su testi di spessore, un cantato di malinconica solennità alternato con monologhi quasi rap e sonorità folk-rock.
Il Muro del Canto (Daniele Coccia alla voce; Alessandro Pieravanti alla voce narrante, batteria e percussioni; Alessandro Marinelli alla fisarmonica; Ludovico Lamarra al basso; Eric Caldironi a chitarra acustica e piano) presenta oggi al Magazzino 47 di Brescia (in via Industriale 10, alle 22, ingresso con sottoscrizione da 5 euro) il nuovo album «L’amore mio non more».
Alessandro Pieravanti, mai pensato che cantare in romanesco potesse costituire un limite?
No, perché il nostro non è un progetto destinato solo al posto in cui viviamo: il romanesco è una forma espressiva che ci appartiene, familiare e colloquiale. Risponde a una sincerità di fondo e ad una genuinità di intenti a cui non rinunceremmo volentieri.
Nel nuovo disco esplicitate fin dal titolo la tematica sentimentale, ma non rinunciate a cantare gli ultimi...
Non siamo militanti e non abbiamo un approccio politico, ma senza dubbio abbiamo un approccio sociale. Che rispecchia chi siamo noi nella vita: le canzoni sono un megafono per raccontare storie che necessitano di essere raccontate. Nel tempo, abbiamo affrontato parecchie questioni e sempre guardato a chi si trova in difficoltà...Per fortuna esiste, ed è cresciuto anche insieme a noi, un pubblico di persone sensibili.
Si può parlare di scena musicale romana o il fermento che si percepisce è la somma di contributi autonomi, senza nulla in comune?
Penso che sia la somma di contributi individuali. Se esiste una scena romana (concetto che non ci piace), allora noi sentiamo di non farne parte. Ultimamente, da Roma sono uscite proposte con identità forti, ma senza nulla che le accomuni.
Piotta vi ha preceduto di un paio di settimane al Magazzino 47. Cosa pensate di lui?
Con Tommaso (Piotta è, al secolo, Tommaso Zanello, ndr) c’è amicizia da anni, e già prima di un pezzo di discreto successo come «7 vizi Capitale» avevamo fatto altre cose insieme. Il suo nuovo disco («Interno 7», ndr) è intimo e sincero, molto bello.
Quali sono i vostri artisti di riferimento?
Quelli che piacciono a ognuno di noi sono Tom Waits e l’Ennio Morricone delle colonne sonore. Ma non li prendiamo come modelli: ci piace pensare di aver costruito nel tempo un sound che assomiglia solo a noi stessi.
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