Cultura

«Il mio martire fu l’uomo più solo di tutto il Novecento»

Tonino Zana sul volume a 40 anni dal rapimento di Aldo Moro, in uscita il 5 aprile: «Per tutti noi risuonò un’eco di guerra»
La bandiera delle Brigate Rosse - Foto Ansa
La bandiera delle Brigate Rosse - Foto Ansa
AA

Sono trascorsi 40 anni dal 16 marzo 1978, il giorno in cui Aldo Moro fu rapito in via Fani dalle Brigate Rosse, nell’agguato in cui vennero uccisi due carabinieri e tre poliziotti della scorta.

«Per tutti noi è stata una eco di guerra, il giorno di una maledizione, la sconfitta di tutti, di una comunità nazionale», scrive Tonino Zana all’inizio del libro - in uscita il 5 aprile, edito da La Compagnia della Stampa (144 pagine, 18 euro) - che ha dedicato a quel sequestro e all’assassinio di Moro.

Si intitola «La congiura dei mediocri. Cronaca e analisi di un "affare" politico macchiato di sangue». È il resoconto di un giornalista che ha letto tutti i documenti di questo «affare», un testimone che ne ha conosciuto i protagonisti. È soprattutto una riflessione dolente, non soltanto sul caso Moro e i dubbi ancora aperti, ma anche sulla società e la politica di allora, «sequestrata» dal terrorismo, gravata da problemi che sconfinano nell’oggi: «Lo sfaldarsi di una democrazia sempre più evanescente, la fotografia sdrucita di una società italiana spaesata e solitaria».

 

Il figlio del leader Dc e il cronista: Giovanni Moro e Tonino Zana - Foto © www.giornaledibrescia.it
Il figlio del leader Dc e il cronista: Giovanni Moro e Tonino Zana - Foto © www.giornaledibrescia.it

 

Tonino Zana, perché parla di «congiura dei mediocri»?
Perché ci si è divisi tra colpevoli e incolpevoli della morte di Moro, dimenticando che sono le Brigate Rosse gli unici assassini. Il partito della fermezza e quello della trattativa, inoltre, continuando a discutere in astratto persero di vista la questione fondamentale che era e rimane la vita di un essere umano. Dopo la morte di Moro, si è trattato per la salvezza di tutti gli ostaggi. A salvarsi la vita furono i terroristi... Dopo aver assassinato gli agenti in via Fani, avevano paura di essere uccisi. Per questo la loro strategia - è l’ipotesi che formulo nel libro - fu di far sapere che avevano gli originali del memoriale e delle lettere di Moro, e che avrebbero potuto usarli in qualunque momento.

Le vicende di quel memoriale restano poco chiare?
Quando i carcerieri di Moro dicono di aver bruciato le copie originali, dovrebbero mostrare dove e perché l’hanno fatto. Il memoriale e le lettere furono, secondo me, il vero materiale della trattativa: prima per garantirsi la vita, poi per ottenere l’adozione di una legislazione favorevole che li mandasse in prigione il meno possibile.

A questo mistero si collega l’altro, che lei ricorda, dei terroristi mai arrestati, come Alessio Casimirri e Alvaro Lojacono?
Il primo abita in Nicaragua, l’altro in Svizzera. Hanno partecipato al massacro di via Fani, ma per loro non c’è stata estradizione. Ancora: solo dopo molti anni si scoprì che Germano Maccari era stato l’assassino di Moro. Rimase coperto a lungo, finché Adriana Faranda non lo denunciò.

Le persone vicine a Moro avevano dubbi o sospetti?
Agnese, la figlia di Aldo Moro, dice sempre di non credere che un attentato di questa potenza in via Fani sia stato fatto da un gruppo di analfabeti della tecnica militare. Pensa che dietro ci fossero altre mani. Io credo invece che le Br abbiano avuto una grande fortuna. Lo Stato era distratto: la politica italiana stava passando a un governo con l’appoggio esterno del Pci, e nessuno si premurò di proteggere i protagonisti della solidarietà nazionale. Moro non aveva la macchina blindata.

Racconta il suo incontro con la vedova del maresciallo Oreste Leonardi...
Lei e la vedova dell’agente Giovanni Ricci negarono con me quello che Andreotti e Cossiga avevano raccontato: che le due donne avevano minacciato di darsi fuoco se si fosse trattato per la vita di Moro. Era una bugia solenne. Erano amiche della famiglia, e ogni giorno chiamavano Eleonora Moro per consolarla.

E che impressioni le lasciò l’incontro con il brigatista Valerio Morucci?
Ho ascoltato uno squinternato, per il quale era normale sparare alla testa di un uomo da 60 centimetri di distanza. Però, quando gli ho detto che ero stato a casa della signora Leonardi, si è messo a singhiozzare.

Cosa ha rappresentato per lei il sequestro Moro?
Nel 1978 avevo 29 anni, ero e resto democristiano: Moro è il mio martire, come per i comunisti lo è Berlinguer che ha potuto, però, morire libero, accanto ai suoi cari. Moro è morto inascoltato, in una prigione di 90 centimetri per tre metri, senza il conforto di nessuno. È l’uomo più solo del Novecento.

 

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato