Cultura

Il lago d’Iseo ad un passo dal cielo di Manhattan

L’artista bresciano Gabriele Picco ripercorre la sua esperienza negli Usa nel libro «New York era piena di zigomi»:
Gabriele Picco - Foto © www.giornaledibrescia.it
Gabriele Picco - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Cosmopolita e foriera di opportunità, sede di quel gotha dell’arte contemporanea in grado di siglare il successo internazionale cui ogni giovane artista aspira, quinta teatrale per un racconto a metà strada tra il romanzo di formazione in chiave bresciana e una commedia dell’assurdo che, talvolta come in questo caso, è sinonimo di vita. È la «New York piena di zigomi» raccontata da Gabriele Picco (1974) - artista visivo bresciano tra i pochi a vantare una riconoscibilità nel panorama internazionale di settore - che lungo le pagine della sua terza fatica letteraria edita da Postmedia books (200 pp., 21euro) ripercorre in formato graphic novel gli esilaranti anni vissuti nella Grande Mela quando, appena 26enne e reduce dalla vittoria di prestigiosi riconoscimenti come il Premio Nazionale Michetti, il Premio Alinovi e il Premio New York del Ministero degli Affari esteri, decide di investire i soldi delle vincite per tentare il salto internazionale.

 

La copertina del libro di Gabriele Picco
La copertina del libro di Gabriele Picco

 

«Si tratta di un lavoro realizzato durante il primo lockdown per il Covid-19, un periodo brutto in cui mi è venuto spontaneo rifugiarmi nei ricordi felici. Dal 2000 al 2010 ho vissuto a New York per alcuni mesi all’anno, dal 2012 per tre anni consecutivi. Il libro - interamente disegnato a biro Bic - è un patchwork di quei frangenti», racconta Picco, già autore dei romanzi «Aureole in cerca di Santi» (Ponte alle Grazie, 2002) e «Cosa ti cade dagli occhi» (Mondadori, 2010).

«Ho sempre tenuto separate le mie attività di scrittore e artista visivo, "New York era piena di zigomi" è il primo prodotto nato dall’unione delle due forme espressive», precisa. Gli zigomi in questione sono quelli delle ragazze newyorchesi, Caronti in gonnella che traghettano l’artista da un capo all’altro di situazioni tragicomiche, che nulla hanno a che fare con l’arte, ma molto con la vita. Nel mezzo un caleidoscopio di esperienze visionarie, tenute assieme dal filo di un’ironia che non disdegna risvolti grotteschi e surreali: dall’incontro immaginario col tenore Andrea Bocelli che apre gli occhi e si complimenta con l’autore per il suo aspetto fisico, alla fallimentare iniziazione al sesso dell’amico giapponese a Chinatown (lo stesso amico che poi lascerà NY per andare alla ricerca del padre sconosciuto), la fanciulla che con intento catartico ridipinge le pareti di casa al termine di ogni love story, l’agghiacciante soggiorno nel Lower East Side nell’appartamento di un’artista che sopravvive mangiando pesci siluro pescati nel fiume Hudson, e la fondamentale presenza di nonna Zuma, cartomante che da Brescia legge i tarocchi per aiutare il nipote ad affrontare le difficoltà.

Sempre la nonna - personaggio-chiave tanto per il racconto quanto per la vita dell’artista - si rende protagonista di una delle scene-madre del volume: attraversato l’oceano per presenziare all’inaugurazione della mostra del nipote, intrattiene gli avventori statunitensi con dialoghi in dialetto bresciano, per poi fare le carte al gallerista Frank Schumaker e prospettargli un soggiorno in prigione. Salde radici bresciane ma sguardo rivolto al sogno americano: una dichiarazione d’intenti, riassunta già in copertina, dove il lago d’Iseo osservato dalle alture di Polaveno (paese natale della nonna e luogo in cui l’autore ventenne soleva recarsi a pensare) culmina con lo skyline di Manhattan all’orizzonte.

 

 

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