Il folletto Camandol gemello del pugliese Scazzamurieddhu
Due terre lontane, unite da simile destino. La Puglia è sempre stata un «porto di mare», nel senso più iterato dell’accezione popolare. Come la Lombardia del resto, che mare non ha. È stata, l’antica Japigia, il boccascena dove si è recitata una lunghissima tragedia eschiliana, ripetuta mille e mille volte, sempre con attori diversi: stranieri, invasori, nemici, tiranni, alcune volte letali, altre geniali. In questo lembo d’Italia sono transitati i minoici, i fenici, i greci, poi i romani, i longobardi, gli svevi, i normanni, i veneziani... Né più né meno, a pensarci bene, lo stesso destino che la Storia ha riservato a quella lontana terra del Nord, la Lombardia: terra dei Celti, Padania romana, dominio di Carlo il grande, dei Goti, dei Longobardi, quindi ambita dagli imperatori tedeschi, oppressa dalla Spagna, da Napoleone, dall’Austria... Senza sosta e pace.
Fusioni culturali. Le due Regioni sono state attraversate da profughi, navigatori, commercianti, asceti, comancini, pellegrini, soldati di ventura, artigiani legati da corporazioni di mestieri, cantastorie, monaci vagabondi, frescanti, coloni, armaioli, faccendieri... Sicché, la terra pugliese di Lecce e sua «cugina», la terra lombarda di Brescia, hanno tutti gli anticorpi possibili ed immaginabili per sopportare crescite, decrescite e depressioni, dovute a conflitti locali o nazionali. Sanno reggere fusioni culturali o etiche, possono superare, senza drammi, interferenze religiose o di potere. Ora: quali sono le affinità, oltre a quelle elencate qualche riga sopra, che accomunano questi due territori della nostra variegata Penisola? Quale il destino condiviso da questi due popoli? La risposta viene da una ricerca in atto. La si sta svolgendo in provincia di Lecce, nella terra dei Messapi, oggi nota al turismo internazionale come «Salento». Il possibile gemellaggio culturale lo abbiamo scovato connettendo la memoria e i fatti vissuti nel correre via della storia. I carri pieni d’uve sulle piazze dei nostri paesi, per fare un primo esempio, trainati da cavalli magri come la fame. Era il vino della Puglia, quello robusto, che non faceva diventare il nostro aceto. Ricordiamo anche l’immane fatica di schiere d’uomini senza nome che, ai piedi delle Alpi come sulle zolle aride della Puglia estrema bagnata da tre mari, hanno lavorato di zappa, per mille e mille anni, trasformando territori selvaggi in paesaggi resi a frutto.
L’era federiciana. C’è dell’altro. L’aver condiviso e sopportato, i contadini padani così come i terrazzani pugliesi, le innumerevoli invasioni, le devastazioni e umiliazioni a causa di popoli migranti e conquistatori, come quella longobarda, al Nord per mano di re Alboino, al Sud a causa dei Duchi longobardorum. Tra il XII e il XIII secolo le due distanti terre condivisero l’era federiciana. Federico I e il nipote Federico II, imperatori romani e re di Germania, Italia e Borgogna, furono tiranni implacabili osando, persino, sfidare il potere della Chiesa e quello di Dio. Poi ci sono le leggende: alcune simili, altre identiche, che ancora oggi vengono raccontate a Brescia così come a Lecce. Quella dei due folletti: quello bresciano detto «Camandol», e l’elfo meridionale, che del primo dev’essere fratello gemello, noto in provincia di Lecce col nome di «Scazzamurieddhru». O quell’altra che narra di una gallina d’oro con dodici pulcini intorno: un tesoro seppellito chissà dove in Puglia, realmente conservato al Nord, nel Museo del Duomo di Monza.
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