Cultura

Il dadaismo non è morto: in mostra i figli di Duchamp e Man Ray

Dal 25 marzo al 16 aprile Spazio Contemporanea,a Brescia, ospita «Dadaclub.online», mostra del Link Art Center
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Gli anniversari sono una noia mortale, ma ormai ci facciamo l’abitudine come la giornata mondiale di questo e quell’altro. Sono sempre passati vent’anni da qualcosa, o cento o mille - non è forse vero? - però è tutto un celebrare, un ricordare, un omaggio e un inchino, oplà!

Forse perché la produzione artistica, in qualsiasi campo, non può reggere il ritmo di un consumo totale, costante, in presa diretta e in download istantaneo come il nostro; mentre della digestione di questo materiale sarebbe bene discutere in altra sede e della fase successiva, insomma, meglio non parlarne proprio.

Quindi si rievoca, la maggior parte delle volte si ricade nell’effetto nostalgia che è spesso canaglia, anche coi cuori e gli intelletti più duri e puri. Non sempre, però. Giusto un mese fa chiudeva a Santa Giulia la mostra organizzata per il centenario del dadaismo, leggermente sfasata rispetto al compleanno vero (era il 5 febbraio 2016, l’allestimento bresciano venne inaugurato in ottobre) e con il merito di ripercorrere una fase della storia dell’arte poco frequentata. Con un limite: la musealizzazione di un movimento antimuseale in un allestimento scolastico, senza guizzi.

Vuoi vedere, invece, che per raccontare meglio il dadaismo bisogna uscire dal dadaismo? Il Link Art Center ha preso quella ricca miniera che è la Collezione Campiani di Carlo Clerici - già sfruttata in parte a Santa Giulia - e l’ha fatta shakerare e hackerare ad esponenti della digital art, il movimento che ha fatto di internet il luogo per creare e per pubblicare opere d’arte. Dal 5 febbraio 2016, giorno del centenario, sul sito «Dadaclub.online» è stato pubblicato un archivio di ventuno fotografie, dodici copertine di riviste e sculture (riprodotte in scansioni tridimensionali) firmate da Man Ray, Paul Citroen, László Moholy-Nagy, Hans Richter, Tristan Tzara, Raul Hausmann e Hannah Hoch.

Il Link ha poi lasciato massima libertà nel riutilizzo di questo materiale: fregatevene, siate dada. Tanto non significa nulla: è questo il bello. A dodici artisti e collettivi invitati, tra i quali il pioniere della digital art Vuk Cosic, Jodi, Lorna Mills, Ubermorgen, i bresciani Iocose e Eva e Franco Mattes, se ne sono aggiunti altri come Emilie Gervais, Raquel Meyers, Thomas Israel, Serg Nehaev e Fausto Gilberti (pure lui bresciano).

Il risultato? Se non avete frequentato il sito «dadaclub.online» negli scorsi mesi, potete vederlo in mostra dal 25 marzo al 15 aprile allo Spazio Contemporanea di corsetto Sant’Agata 22, in città (visitabile dal giovedì al sabato, dalle 15.30 alle 19). Nell’allestimento sono comprese le 148 opere realizzate da 140 autori nel corso del centenario e gli originali che le hanno ispirate, tra foto, video e gif in perfetto stile arte digitale.

E qui ci vuole un piccolo excursus sulle anime del progetto. Fabio Paris, del Link Art Center, è l’anima dadaista: da lui e dalla sua passione per questo movimento artistico è nata l’idea del club online. Domenico Quaranta, sempre del Link, è l’anima 2.0: curatore e critico d’arte, sta accreditandosi come uno dei principali esperti di digital art e (relativamente) nuovi media.

Poi c’è lui, Carlo Clerici. «Non capisco niente di net art - dice -, e come tutte le cose che non capisco, mi incuriosisce». Ha accettato di partecipare mettendo a disposizione le opere comprate da Arturo Schwarz negli anni Ottanta e diventate uno dei pezzi forti della Collezione Campiani. Clerici non vende mai le opere che acquista, «preferisco viverle», dice. Dadaclub, una volta chiuso l’allestimento, integrerà la sua raccolta.

«I dadaisti ci hanno insegnato la strada per uscire dall’arte tradizionale», commenta. D’altronde, diceva Vuk Cosic, «siamo idealmente i figli di Duchamp». Perché come scriveva Tristan Tzara nel Manifesto del 1918, «quelli che vengono con noi restano liberi». Quindi avanti: godetevela, questa libertà.

 

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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