«I Queen nel 24° secolo, per far rinascere la bellezza»
Freddie Mercury è morto nel 1991, ma il mito dei Queen è addirittura cresciuto, alimentato da tanti fuochi diversi.
Al cinema ora impazza «Bohemian Rhapsody»; ma ha basi ben più radicate «We Will Rock You», cosiddetto «musical juke-box» che prende il nome da una hit del gruppo ed è stato scritto nel 2002 dall’attore e autore Ben Elton, in collaborazione con Brian May e Roger Taylor dei Queen: uno show in scena a Londra per dodici anni consecutivi, visto da otto milioni di spettatori.
La versione italiana è datata 2009. Sabato 15 dicembre approda al Gran Teatro Morato di Brescia (via San Zeno, alle 21.30, biglietti da 23 a 55 euro; info su www.zedlive.com) con la regia di Tim Luscombe, in una veste rinnovata. Ne abbiamo parlato con Claudio Trotta - promoter milanese attivo da quarant’anni con la Barley Arts - che dell’operazione (di questa, come della precedente) è il deus ex machina.
Claudio, la storia è ambientata nel futuro, ma ha agganci con il presente... Si svolge nel 24º secolo, con la multinazionale GlobalSoft che governa il mondo. Tutto è omologato, le persone sono diventate una massa di consumatori acritici, la società non lascia spazio ai sogni.
È in questo contesto che due ragazzi come Galileo e Scaramouche (i protagonisti di «We Will Rock You», ndr) si ribellano, cercando di riportare l’amore, la musica live, e la bellezza al centro delle loro vite. Se non è un messaggio attuale questo...
Non è dunque per caso che ha rimesso mano a «We Will Rock You», optando per un nuovo abito? È un modo per dire no alla formattazione del pensiero, un inno alla ribellione. Non mi piace la direzione che hanno preso certe cose, non solo nel campo della musica: una società che non lascia spazio ai sogni, che non concepisce diversità né confronto, che non valorizza il bello e non guarda alla qualità della vita, non è una società positiva.
Il musical racconta la speranza di una strada diversa, nella convinzione che il futuro non sia per forza già scritto, ma dipenda da tutti. Quali sono le differenze tra l’edizione odierna e quella del 2009? Con un team di creativi abbiamo lavorato di cesello per offrire sfaccettature e maggiore profondità ai personaggi, attualizzandoli, pur nel rispetto della visionaria confezione originale.
Mentre nel 2009 eravamo per contratto obbligati a una «replica» della produzione inglese, stavolta abbiamo goduto di totale libertà nell’assetto generale: al centro restano i brani dei Queen, ma abbiamo rinunciato a video e schermi, una formula di spettacolo che ci sembrava abusata.
Il risultato? La produzione è molto bella. Cosa pensa del film «Bhoemian Rhapsody», attualmente in sala? Non l’ho visto, ma sono contento che attragga il pubblico, se non altro per gli amici Queen. Mesi fa ha lanciato «Slow Music», sulla falsariga di Slow Food. Come sta funzionando? Grazie per la domanda: a Slow Food tengo molto. È uno strumento per la diffusione della musica di qualità, un investimento per il futuro, non immediato né semplice. Con il tempo e la pazienza sono certo che crescerà: vederlo maturare con calma non mi spaventa, perché ho quarant’anni di grande rock alle spalle e... quaranta davanti.
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