Cultura

I libri consigliati dalla redazione per febbraio: da Pantani alla «fabbrica delle ragazze»

La Redazione Web
Alcune ultime novità, altri volumi usciti l’anno scorso: ecco un po’ di titoli che ci sono piaciuti
Letture in una mattina invernale (foto Unsplash)
Letture in una mattina invernale (foto Unsplash)
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Una guida sentimentale ai luoghi del Pirata morto misteriosamente vent’anni fa, e poi un romanzo di una filologa che ha deciso di immergersi in un’opera fondamenta della civiltà occidentale. E poi le ragazze. Le ragazze in fabbrica, le ragazze in collegio, che hanno qualcosa da dire a quelle di oggi.

Ecco i libri consigliati dalla redazione del Giornale di Brescia per febbraio. Qui trovate il numero di gennaio (scorrendo indietro tra i link potete rileggere i consigli mese per mese di un anno e mezzo).

Per scriverci, potete farlo qui

«La mappa del Pirata - Guida sentimentale ai luoghi di Pantani»

di Giacomo Pellizzari

La copertina di La mappa del pirata
La copertina di La mappa del pirata

(Cairo Editore, 2024, pp. 253, 17 euro, ebook 10,99)

C'è la Romagna tutta e c'è il Carpegna, palestra d'appennino per leggendarie scalate alpine. Ci sono Mazzo di Valtellina, anticamera dell'ascesa al Mortirolo e l'hotel Touring di Madonna di Campiglio, la porta spalancata sull'abisso, giudiziario e personale. C'è tutta la parabola ciclistica e umana del gigante minuto che danzava sui pedali ne «La mappa del Pirata – Guida sentimentale ai luoghi di Pantani», libro che esce non per caso a vent'anni dalla morte misteriosa e tragica del campione di Cesenatico.

Autore ne è quel Giacomo Pellizzari che chi ama pedali, ascese faticose e picchiate volanti, già conosce come una delle penne più felici del mondo delle ruote a trazione umana. Uno che, a dispetto dei natali milanesi, ha imparato ad amare il ciclismo sfidando la gravità sulla salita per Capovalle, e che al Bresciano di recente ha dedicato, nell'anno della Capitale della Cultura a due campanili, una buona metà di «Itinerario Felice: da Bergamo a Brescia lungo le strade di Gimondi», altra geografia di campionissimo in sella. Ma che già aveva raccontato di una strada mistica e mitica del nostro Garda, la Forra di Tremosine, ora negata alla passione di chi pedala dalla recente frana, assieme ad un certo Davide Cassani ne «Il ciclista curioso» (libri che consigliamo tutti, ma ai quali preferiamo in assoluto «Tornanti e altri incantesimi», racconto dell'ascesa a sette cime sacre del ciclismo a cavallo del confine italo-francese che l'autore ha portato a termine in 48 ore per conseguire il brevetto della Confrérie des 7 Majeurs).

Stavolta Pellizzari, srotolando la cartina del Pirata, ci porta, come in una caccia al tesoro, a ritrovare le tracce del suo passaggio lieve su questa terra. E nel farlo ci fa incontrare personaggi che lo hanno amato, sostenuto, ammirato, premiato, ritratto, i loro ricordi, le emozioni ancora a fior di pelle quando il pensiero torna a questo o quell'episodio, a una vittoria come a una caduta. Siano papà Paolo o Bernard Hinault, l'ultimo prima di Pantani a conquistare una doppietta Giro-Tour nel medesimo anno, Pino Roncucci, suo primo ds alla Giacobazzi, o Mattia Trotta, lo scultore di Bienno che di Pantani ha inchiodato lo spirito nel corten in cima al Plan di Montecampione: il volto teso e sfiancato all'insù come la prua di un aereo, le braccia levate, che quando il cielo è azzurro ti pare stia per staccare l'ombra da terra per volare via, come su una salita. Perché non poteva mancare quella lingua d'asfalto che da Artogne sale e sale e sale per 19 chilometri, su cui il Pirata issò le vele il 4 giugno del 1998 lasciando indietro dopo un epico duello il russo Pavel Tonkov, che ancora commuove a rivederlo la centesima volta. Geografia umana molto più che biografia canonica, il libro si affronta come una discesa, fra tornanti di poesia, l'ironia dolceamara dei piegoni della vita, e la magia che aneddoti più o meno noti ti regala la chiacchiera con un compagno di pedalata, di quelli che ci arrivi fino a casa quasi senza accorgertene.

(Gianluca Gallinari, vicecaporedattore)

«Il mio arco riposa muto - Il romanzo dell’Eneide»

di Irene Vallejo

La copertina di Il mio arco riposa muto
La copertina di Il mio arco riposa muto

(traduzione italiana di Monica R. Bedana, Bompiani, 2023, pp. 224, 18 euro)

Che piacere leggere questo romanzo! Esso nasce dalla competenza di una filologa, ma anche dal suo talento di narratrice (il suo «Papyrus. L’infinito in un giunco», 2021, è tradotto in 35 lingue).

L’edizione spagnola di questa reinvenzione dell’«Eneide» è del 2015; in Italia, il libro è in circolazione dal settembre 2023. Il mondo è quello dei romanzi d’amore ispirati all’antichità, che tanto successo hanno anche nel mondo dei booktokers: come le fortunate creature della statunitense Madeline Miller, «La canzone di Achille» (l’«Iliade» dal punto di vista di Patroclo, 2011), «Galatea» (2013) e «Circe» (ispirata al mondo antico tanto quanto alla letteratura femminista, 2018).

In «Il mio arco riposa muto» Irene Vallejo dimostra abilità nella costruzione narrativa, e autentica passione per la materia narrata: nella sua prosa (merito anche del raffinato lavoro di traduzione italiana di Monica R. Bedana) si sente l’eco delle citazioni classiche, con immagini che ancora colpiscono al cuore, ma dentro corre una sensibilità contemporanea (come quando Elissa descrive la sua attrazione fisica per Enea).

Cinque i narratori, che si alternano di capitolo in capitolo. Il punto di vista più affascinante è quello del dio Eros, responsabile dell’innamoramento di Elissa ed Enea: gli dei infatti si annoiano (è «la monotonia dell’eterno») e guardano quasi con invidia le faticose peripezie degli umani, soggetti al trascorrere del tempo, immersi nel caos, ma che di continuo intrecciano storie appassionanti.

Commovente la rappresentazione di Virgilio, timido, anziano e tormentato poeta «dagli occhi tristi», oppresso dal potere e dal senso di responsabilità, che attraverso un percorso tortuoso, e grazie ad un prodigio, riuscirà a scrivere un’opera – l’«Eneide», appunto - capace di attraversare i secoli e più duratura della stessa Roma.

C’è molto amore in queste pagine, scritte benissimo, lievi e anche piacevolmente divulgative di storie che, a volte, tendono a cancellarsi dalla nostra coscienza, anche se non dovrebbero, perché continuamente ci ricordano quello che siamo.

(Paola Carmignani, redazione Cultura e Spettacoli)

«La fabbrica delle ragazze»

di Ilaria Rossetti

La copertina di La fabbrica delle ragazze
La copertina di La fabbrica delle ragazze

(Bompiani, 2024, pp. 290, 19 euro, ebook 11,99 euro)

Emilia Minora ha vent’anni quando a metà del 1918 entra a lavorare alla Sutter & Thévenot, la grande fabbrica di bombe e granate a Castellazzo di Bollate, in provincia di Milano. Emilia è figlia di contadini, Martino e Teresa Minora, che ogni giorno devono fare i conti con una situazione di estrema povertà. È ciò che li convincerà a seguire il consiglio di don Antonio: «Mandate Emilia al polverificio di Castellazzo, un lavoro che è anche un servigio ai nostri soldati al fronte. E poi i danee, non vi interessano? Il campo è duro e si fatica a mangiare, lo sappiamo tutti».

Emilia Minora diventerà così un’operaia della Sutter & Thévenot, immaginandosi un futuro migliore. Ma in quella fabbrica morirà poche settimane dopo, insieme ad altre 58 persone, in seguito a un’inevitabile esplosione. Ilaria Rossetti riporta alla memoria con questo romanzo uno degli episodi più tragici della storia industriale italiana e lo fa magistralmente con uno stile guareschiano, descrivendo con una prosa raffinata ed efficace il dolore, l’atrocità e le disillusioni della vita, e contestualmente la genuinità e la grandezza dei sentimenti.

Martino e Teresa, ma anche la Tina della latteria, il carabiniere Drumedari, il Farmacista e il disertore Corrado sono personaggi indimenticabili. Rossetti a modo suo ridà voce alla vittime della Sutter & Thévenot, richiamando in causa anche Ernest Hemingway che fu presente in prima linea in quei giorni a Bollate e poi ne scrisse nei «Quarantanove racconti».

(Erminio Bissolotti, redazione Economia)

«Nessuno torna indietro»

di Alba de Céspedes

La copertina di Nessuno torna indietro
La copertina di Nessuno torna indietro

(Mondadori, 2022, pp. 312, 13 euro, e-book 7,99 euro)

Qual è l’attualità di Alba De Céspedes, di cui è appena tornato in libreria un romanzo del 1955? Una risposta impressionante viene dal titolo con cui il New York Times ha accolto l’uscita negli Stati Uniti, nel gennaio dell’anno scorso, di «Quaderno proibito» (tradotto da Ann Goldstein, traduttrice anche di Elena Ferrante): «The Transgressive Power of Alba de Céspedes»; il romanzo, che in Italia è noto anche per aver ispirato uno sceneggiato (si chiamavano così) trasmesso dalla Rai nel 1980, è nientemeno che del 1952. Tre anni più tardi usciva «Prima e dopo», che la casa editrice Cliquot ha ripubblicato a fine 2023. «Prima e dopo»: in entrambi i romanzi di de Céspedes, un avvenimento a prima vista insignificante (l’acquisto di un quaderno, le dimissioni di una domestica) apre uno squarcio nella vita della protagonista e una via di riflessione sulla condizione femminile del tempo. Che bisogno abbiamo di rileggerli, o leggerli per la prima volta? Cosa può dire de Céspedes alle donne di oggi, alle ragazze?

Proprio pensando alle più giovani viene spontaneo risalire addirittura al romanzo d’esordio di de Céspedes, quel «Nessuno torna indietro» pubblicato nel 1938 – quasi un secolo fa. Perché «Nessuno torna indietro» racconta proprio di un gruppo di ragazze che si ritrovano in un collegio femminile a Roma, chi per studiare e laurearsi, chi per passare del tempo in attesa di qualcosa, chi per nascondere un segreto. La scrittura di De Céspedes riprende il gruppo in diversi momenti comunitari e poi, come con una telecamera, insegue le singole protagoniste nelle loro vite fuori dal collegio: c’è Emanuela, ragazza madre di famiglia «bene», su cui il testo è particolarmente focalizzato; e poi ci sono Xenia che fugge dopo la laurea mancata e si dà alla bella vita, Silvia che s’innamora platonicamente del vecchio professore, Anna che torna al paese per sposarsi nonostante abbia concluso brillantemente gli studi, Valentina che sogna il matrimonio ma è sempre sola, come Augusta, scrittrice di romanzi che nessuno vuole pubblicare; e, ancora, Vinca che viene tradita, Milly che muore cullando il suo sogno d’amore e infine una suora, suor Lorenza, che «impazzisce».

Apparentemente de Céspedes non fa altro. La narrazione non contiene messaggi espliciti, il finale è come sospeso: una partita di carte tra ricchi nullafacenti su una nave – tra loro c’è Emanuela, imbarcatasi con la figlia.

Ma allora, che cosa ci dice questo romanzo? Dov’è, se c’è, la sua attualità? È nelle pieghe del racconto: nell’esperienza ambivalente della maternità, nel bisogno dello sguardo e del potere maschile, nella rinuncia al successo personale per rifugiarsi nelle consuetudini, nelle aspirazioni indotte dal sistema sociale… è in alcune dichiarazioni da parte dei personaggi maschili: una donna non avvenente «non è una donna», dice lo spasimante di Emanuela; e una donna frivola è «una donna proprio», dice il professore di Anna. Tutto questo è antiquato, superato? Alba de Céspedes, dal secolo scorso, ci interroga.

(Francesca Sandrini, vicecaposervizio redazione Cronaca e provincia)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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