I «fantasmi» dei Baustelle incantano il Grande
I fantasmi stanno ad ascoltare. Immobili al cospetto di derive sinfoniche, canzoni dense come melassa. Voci pastose e carezzevoli. Per dichiarare di non essere nient'altro se non i Baustelle.
Un Teatro Grande tutto esaurito ha fatto da sfondo ieri sera a un concerto emozionante e suggestivo, in cui Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini hanno evidenziato un'anima multiforme, tenera e cattiva, smussando tutti quei richiami che, almeno su disco, rendevano «Fantasma» facile bersaglio del gioco dei rimandi (De André, Morricone, Bacalov). Dal vivo, al contrario, la scrittura di Bianconi torna protagonista, rendendo la band di nuovo padrona di sé stessa e della propria musica. Con un tocco Pulp (leggere alla voce Jarvis Cocker) che non guasta mai.
Introdotti, in un teatro immerso nelle tenebre, dalla cantilena da brividi che apre il loro nuovo disco, i Baustelle dedicano la prima parte dell'esibizione a «Fantasma», concentrandosi sul concetto di tempo che passa. Si susseguono quindi «Nessuno», «Il Finale» e «Radioattività», affidata quest'ultima a Rachele.
Gli arrangiamenti complessi, resi possibili da una band allargata e ben compatta, lasciano poco spazio alla fantasia esecutiva. Il pubblico entra subito in sintonia, ma è chiaro che i Baustelle hanno più bisogno di ascoltatori che di complici (radi i battimani), necessitano di un pubblico attento almeno quanto lo sono loro, essenziali nelle movenze e avari di parole extra-canzoni. È musica e solo musica, le divagazioni sono superflue.
Bianconi, con la sua voce salmodiante da francescano pop, s'insinua con profondità tra i meandri di testi che paiono ingigantirsi nota dopo nota. Sfumata la fulgida melodia di «Diorama», il «capo della banda» annuncia che è arrivata l'ora di mostrare «che siamo dei maleducati di provincia», riconquistando la posizione eretta per «Cristina», primo dolcetto poppeggiante della serata.
L'attenzione assoluta ai dettagli e agli arrangiamenti (questi sì decisamente un mix tra fughe morriconiane e ridondanze in stile Bacalov) forse irrigidisce un po' i Baustelle, anche se Rachele pare più sciolta quando può lasciare la tastiera per dedicarsi solo alla voce. I brani di «Fantasma» scorrono via e il pubblico se li beve senza dare segni di sazietà. C'è anche un omaggio a Léo Ferré con «Col Tempo», prima di andare a trovare i «vecchi» Baustelle, quelli di «Corvo Joe» e della doppietta killer «Charlie fa surf» (in versione lenta) e «La guerra è finita».
I bis sono una pratica sbrigata senza troppe cerimonie. Anzi, nell'ottica di una trasversalità generazionale, gli ultimi bagliori baustelliani parlano ai ragazzi più giovani. Prima che «Andarsene così» segni la fine di questo intrigante viaggio del suono, ancora lungi dal rivelare fino a dove potrà spingersi.
Rosario Rampulla
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