I costumi di Margherita di Savoia in una mostra curata dal bresciano Massimiliano Capella
A Napoli le dedicarono una pizza, a Siena una versione del panforte; accanto a giardini e scuole, le fu intitolato un rifugio sul Monte Rosa; portò il suo nome una macchina da cucire, e Giosuè Carducci la onorò con una delle sue «Odi barbare». Prima regina d’Italia, consorte (in un matrimonio combinato e poco felice) di Umberto I, protagonista della vita di corte tra due secoli, Margherita di Savoia (1851-1926) riuscì a diventare una vera e propria «icona» amata dagli italiani, grazie ad un’accorta - e sentita - attività sociale e culturale, ma anche alla costruzione di un proprio «personaggio pubblico» in grado di dettare mode e abitudini. A «Margherita di Savoia, regina d’Italia» è dedicata la mostra allestita a Torino da domani al 30 gennaio 2023 (info: www.fondazionetorinomusei.it).
I costumi
Coordinata da Maria Paola Ruffino, l’esposizione ricostruisce la figura della sovrana nelle sue molteplici sfaccettature, dal suo ruolo di regina consorte e poi madre (di Vittorio Emanuele III) a quello di organizzatrice della vita di corte con i suoi rituali; da benefattrice attenta ai bisogni del popolo, a paladina della modernità (fu tra le prime donne a guidare un’automobile). Ad introdurre la mostra, ospitata nella sala del Senato di Palazzo Madama, una sezione dedicata alla moda dell’epoca e alle toilettes della sovrana, a cura del bresciano Massimiliano Capella, direttore della casa museo della Fondazione Zani di Cellatica e storico della moda e del costume.
Dieci sontuosi abiti della collezione privata di Mara Bertoli raccontano l’evoluzione della moda e dello stile dagli anni Cinquanta dell’Ottocento alla metà del secondo decennio del Novecento, evoluzione nella quale le scelte della regina ebbero un ruolo fondamentale. Dalle ampie crinoline e dalla linea a «copri-teiera» in voga alla metà dell’Ottocento degli abiti disegnati da Charles Frederick Worth, couturier parigino amato dalla sovrana, si passa nella seconda metà del secolo ad abiti fasciati sui fianchi e sostenuti nel busto, con gonne rialzate nella parte posteriore dalla «tournure» (o «sellino») e completate da strascichi a «coda di gambero» particolarmente apprezzati dalla regina.
Le toilettes si arricchiscono di pizzi - moda promossa a corte anche per sostenere la scuola del merletto di Burano - e la creazione di gioielli dà lavoro a raffinati centri d’artigianato di ogni parte d’Italia, tra cui la Scuola per la lavorazione del corallo istituita con Regio decreto nel 1878. A cavallo tra i due secoli, da Parigi arrivano novità che guardano alla moda come specchio di una società in evoluzione verso la modernità.
Anche la donna viene liberata dalle costrizioni delle strutture che reggono gonne e sottogonne, con Paul Poiret gli abiti abbandonano il corsetto e assumono sempre più l’aspetto di tuniche strette in vita da cinture ricamate. All’alba del nuovo secolo gli italiani Rosa Genoni e Mariano Fortuny si ispirano alle statue greche per creare abiti leggeri e plissettati. Toccherà a Coco Chanel dare la svolta decisiva, con completi in jersey e gonne accorciate. Ma non sarà la regina Margherita a farsi testimonial di queste nuove linee ormai compiutamente contemporanee.
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