Cultura

Han Kang, Peace e Cusk: 9 libri consigliati per gennaio

La Redazione Web
Dal saggio narrativo sui virus nel quinto anniversario della pandemia al racconto straziante di De Giovanni, passando per uno dei libri citati dal New York Times nella lista dei 100 migliori titoli del nuovo millennio
Una libreria - Foto Unsplash
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Con i buoni propositi di gennaio, insieme ai bottini natalizi, i comodini si riempiono di «must read». E chi siamo noi per non aggiungere alle vostre liste altri consigli di lettura. C’è «Spillover» di David Quammen, più che mai attuale a cinque anni dallo scoppio della pandemia; e la premio Nobel 2024 Han Kang, che spalanca una finestra sulla storia recente della Corea del Sud. Sempre dalla Corea attinge «Pachinko» di Min Jin Lee, uno dei libri inseriti dal «New York Times» nella lista dei 100 migliori libri del nuovo millennio. E ancora il ritorno di Maurizio De Giovanni, col suo commissario Ricciardi, fa da contraltare alle pagine di David Peace che raccontano la tragedia del Manchester United, che perse otto giocatori in un disastro aereo. E mentre prosegue la serie alla riscoperta di Le Carrè, vi proponiamo una guida locale e un piacevole volumetto sull’alimentazione naturale.

«Spillover»

Di David Quammen

La copertina di Spillover
La copertina di Spillover

(Traduzione di Luigi Civalleri, Adelphi, 2014, pp. 608, 14 euro, ebook 6,99 euro)

«Spillover» di David Quammen è un saggio che a cinque anni dallo scoppio della pandemia da Covid-19 potrebbe inquietare, eppure è una lettura scorrevole e avvincente. Pubblicato in inglese nel 2012, era stato definito «il libro che aveva predetto la pandemia». In effetti parlava esattamente di un’epidemia mondiale che poi si è rivelata essere identica a quella vissuta cinque anni fa, ma non c’è nulla di magico. Il saggio – narrativo e adatto anche anche a chi non ha l’abitudine di leggere testi scientifici – anticipava con precisione i meccanismi che avrebbero  portato alla nascita di una pandemia (nota come «Big one») analizzando la storia dei virus zoonotici. Il filo conduttore sono i salti di specie, o «spillover», che permettono ai virus di passare dagli animali all’essere umano. Si parla quindi di Sars e di Ebola, e si arriva a un’analisi profonda della storia dell’Aids. È qui che il libro raggiunge il suo culmine: un racconto scientifico dettagliato e struggente attraverso cui Quammen restituisce dignità a una narrazione che spesso è stata manipolata, spiegando con rigore il percorso di un virus che, nel corso di decenni, ha cambiato il volto della medicina e della società. Dai primi del Novecento, e non dagli anni Settanta, quando ha iniziato a palesarsi.

La scrittura è precisa, mai fredda, con un ritmo narrativo che trasforma la scienza in un romanzo rendendo accessibili concetti complessi. Ogni capitolo si legge come un giallo scientifico. Plus: si viaggia in foreste pluviali, laboratori e mercati caotici, cartoline necessarie per unire i punti che collegano l’essere umano al resto della natura.

Sara Polotti, redattrice Web

«Monaco 1958»

Di David Peace

La copertina di Monaco 1958
La copertina di Monaco 1958

(Traduzione di Pietro Formenton, 2024, Il Saggiatore, pp. 504, 26 euro, ebook 11,99 euro)

Non si è necessariamente tifosi del Manchester United per apprezzare l’ultimo libro di David Peace, «Monaco 1958». Non è nemmeno indispensabile che il lettore palesi un animo sportivo: la magia che si crea e che lega le persone su un campo da gioco affiora dalle pagine dell’autore inglese ed è travolgente.
Dopo «Il maledetto United», uscito nel 2015 e con cui Peace racconta i quarantaquattro giorni di Brian Clough sulla panchina del Leeds United, uno dei più stravaganti personaggi della storia del calcio, con «Monaco 1958» lo scrittore di Dewsbury fa rivivere in quasi 500 pagine gli otto angeli del Manchester United, gli otto «Busby Babes» che il 6 febbraio di sessantasette anni fa persero la vita nel disastro aereo nella capitale della Baviera.

Il romanzo di Peace è la storia di un dramma sportivo, la «Superga inglese» come l’hanno poi definita in molti, ma anche un racconto che recupera la memoria collettiva con cui lo scrittore (ri)entra, con sensibilità ed empatia, nelle case di alcune famiglie inglesi, a quasi settant’anni di distanza. A tal proposito, nelle ultime pagine del volume elenca un numero infinito di libri che lo hanno aiutato nella ricostruzione dei fatti.
Il calcio raccontato da Paece ha il sapore del cuoio italiano, il pathos della pelota Sudamericana, la durezza del football inglese.

Erminio Bissolotti, redattore Economia

«Atti umani»

Di Han Kang

La copertina di Atti umani
La copertina di Atti umani

(Traduzione di Milena Zemira Ciccimarra, Adelphi, 2017, pp. 205, 11,40 euro, ebook 6,99 euro)

Cos’è l’anima? Cosa ci rende umani? Per cosa vale la pena vivere, o morire? Sono le domande che rimbombano nelle pagine di «Atti umani» di Han Kang, premio Nobel per la letteratura 2024, che spalanca una finestra sulla storia recente della Corea del Sud, patria dell’autrice. Uscito nel 2014 e pubblicato in Italia tre anni dopo, il romanzo torna d’attualità in questi giorni, dopo l’impeachment del presidente Yoon accusato di aver imposto la legge marziale, poi revocata dal Parlamento, per mettere alle corde l’opposizione; ultimo atto di una storia nazionale costellata di colpi di stato e violenza politica. Materia di cui si compone anche l’opera, che torna indietro al 1980, anno della rivolta contro il dittatore Chun Doo-hwan e della feroce repressione che ne seguì nella città di Gwangju, dove l’autrice è nata nel 1970, per poi spostarsi con la famiglia a Seoul l’anno precedente ai fatti. Il numero delle vittime uccise dall’esercito non fu mai reso ufficiale, ma si parla di duemila morti, cittadini comuni, tanti studenti anche giovanissimi che resistettero praticamente a mani nude alla violenza del regime.

Han Kang racconta quella vicenda dando voce a vari protagonisti, partendo dai giorni della rivolta, quando gli studenti si erano asserragliati nell’edificio in cui già si portavano i primi morti caduti sotto i colpi dell’esercito, e accompagnando il lettore fino ai nostri giorni. Ogni storia è concatenata all’altra ma resta una voce a sé stante, che interroga il senso della propria sopravvivenza a fronte di tante vittime, direttamente per mano dei militari, o negli anni successivi per le conseguenze psicologiche della vicenda. L’autrice dà forma a queste storie attraverso una prosa asciutta ma straordinariamente lirica, con registri che passano dalla poesia estrema, come quando immagina l’anima di uno dei ragazzi trucidati che vaga smarrita accanto al proprio corpo chiedendosi come potrà ritrovare i propri amici, alla crudezza terribile del racconto delle torture, allo strazio del dolore dei familiari delle vittime. Fino alla descrizione di un silenzio «urlante» come prova estrema di resistenza alla repressione. Di fondo, la domanda su cosa siano la vita e la morte, cosa sia l’anima umana e di cosa si sostanzi, quali siano gli «atti umani» che ci rendono tali. Di fronte alla brutalità e alla violenza del potere, Han Kang racconta le piccole storie di chi sceglie di restare umano, collocandosi dalla parte della dignità, della verità, della coscienza, a costo di giocarsi la vita. E pratica la testimonianza come atto dovuto, davanti a chi ci chiede di non restare indifferenti alla sua morte.

Giovanna Capretti, vicecaposervizio Cultura

«Coventry»

di Rachel Cusk

La copertina di Coventry
La copertina di Coventry

(Traduzione di Anna Nadotti e Isabella Pasqualetto, Einaudi, 2024, 232 pagine, 18,50 euro, ebook 9,99 euro)

Scrivere di qualcosa per parlare anche e soprattutto di qualcos’altro. Del resto il primo scritto di «Coventry» s’intitola «La guida come metafora». Introduce a una raccolta di 17 saggi già pubblicati in periodici o in volume da Rachel Cusk, l’autrice di quella trilogia composta da «Resoconto», «Transiti» e «Onori» con cui c’è chi dice abbia rivoluzionato il modo di narrare; e anche del coraggioso «Il lavoro di una vita. Sul diventare madri», uscito nel 2001 in Inghilterra attirandole non poche critiche. Pure Coventry ha un sottotitolo che, in estrema sintesi, anticipa al lettore quel che troverà oltre la copertina: «Sulla vita, l’arte, la letteratura». E in effetti sono molti e vari i temi trattati nelle tre sezioni («Coventry», «Un tragico passatempo», «Classici e best seller») dalla scrittrice di origine canadese, classe 1967, con l’intelligenza anticonformista che la caratterizza. Alcuni, però, emergono come particolarmente sentiti e trasversali, e sono lo scarto tra l’esistenza e la narrazione di sé, la condizione femminile in relazione non solo ad accadimenti della vita come la maternità (di nuovo) e la separazione, ma anche al talento artistico e letterario (con, tra l’altro, un’originale rilettura della woolfiana «stanza tutta per sé»), il disordine portato dal cambiamento come possibilità di una nuova creazione – del mondo, di se stessi.

Il titolo deriva dall’espressione inglese «mandare qualcuno a Coventry», che significa punirlo smettendo di parlargli: Cusk racconta che di tanto in tanto i suoi genitori la mandano proprio a Coventry, dimostrando (qui e altrove) come si possa passare dall’autobiografia alla riflessione di ampio respiro con una sicurezza carica di senso. Ma è sul finale che soprattutto il lettore italiano troverà la sorpresa felice: un saggio dedicato a Natalia Ginzburg, dimostrazione ancora una volta dello stretto dialogo tra vita e letteratura.

Pochi mesi fa Cusk è stata in Italia, a Capri, per ritirare il Premio Curzio Malaparte. In quell’occasione, ha rilasciato anche una bella intervista al podcast «Comodino» che si può ascoltare anche in inglese. Ma soprattutto l’autrice di Coventry è da leggere, con la sua scrittura ardita che spesso ci costringe a riconoscere: certo, è proprio così.

Francesca Sandrini, vicecaposervizio Cronaca

«Pachinko»

Di Min Jin Lee

La copertina di Pachinko
La copertina di Pachinko

(Traduzione di Federica Merani, Pickwick, 2021, pp. 587, 11,30 euro, ebook 6,99 euro)

«Pachinko, la moglie coreana» di Min Jin Lee è uno dei libri inseriti dal «New York Times» nella lista dei 100 migliori libri del nuovo millennio, ma è anche uno dei pochi a mantenere la posizione di prestigio (si trova al 15esimo posto) anche nella contro-lista democratica che il quotidiano ha pubblicato dopo aver chiesto il parere dei lettori. Si tratta di una saga multigenerazionale che narra la drammatica storia di una famiglia coreana costretta ad emigrare in Giappone. Il racconto attraversa tutte le fasi storicamente cruciali della Corea partendo dalla dominazione nipponica, passando per la Seconda guerra mondiale fino ad arrivare alla divisione in due del Paese. Pachinko, il gioco giapponese proibito, rappresenta alla perfezione l’azzardo delle vite coreane che hanno provato erroneamente a trovare la terra promessa in un Giappone dove serviva il proverbiale colpo di fortuna per far saltare il banco. Una storia magari non semplice da comprendere in ogni sua sfaccettatura per un lettore occidentale, ma che proprio per questo motivo mantiene tutto il fascino di un mondo lontano da scoprire nei suoi meandri di filosofia quotidiana, convenzioni sociali e idiosincrasie.

Jacopo Bianchi, redattore Teletutto

«Alimentazione naturale»

Di Valdo Vaccaro

La copertina di Alimentazione naturale
La copertina di Alimentazione naturale

(Anima edizioni, 2009, pp. 441, 22,80 euro, ebook 13,99)

Se siete in cerca della spinta definitiva per lasciarvi alle spalle la dieta onnivora e abbracciare, come buon proposito di inizio anno, quella tendenzialmente vegana questa è un’ottima lettura. Libro consigliatissimo anche per tenere in tasca argomenti da spendere nelle diatribe che si scatenano quando ci si confronta su diete, scelte alimentari, etica, salute, buone abitudini. In un periodo dove mai come prima ciò che si mette in tavola e, soprattutto in corpo, concentra le attenzioni – e gli interessi – di molti, «Alimentazione naturale» è davvero un libro da prendere in considerazione. Lo ha scritto, ormai 16 anni fa, Valdo Vaccaro, naturopata, libero ricercatore, che da una vita – ha più di 80 anni – racconta, scrive, divulga ciò è riduttivo chiamare come «corretta alimentazione». Direttore scientifico e docente della Hsu (Health Science University), la prima scuola di Igienismo Naturale Italiana, passa in rassegna in agili capitoli lo sfaccettato macro tema – passando per proteine, integratori, movimento fisico, sintomi e malattie, bambini e gravidanze – dal punto di vista dell’igienismo. Si citano ricerche, articoli, analisi capaci di mettere spesso in risalto i contrasti tra convenienze economiche e reali benefici sul piano del benessere. Sono 470 pagine che per brillantezza di scrittura e attualità di temi sembrano edite ieri, in un susseguirsi coinvolgente come se ci venisse raccontata una storia. Quella di un uomo, quello di oggi, spesso alieno nel suo stesso corpo, poco consapevole del suo potere di autogaurigione, preda dei macro interessi delle industrie alimentari e farmaceutiche. L’intento di Vaccaro è fornire una via alternativa per diventare sempre più capaci di scegliere uno stile di vita il più risonante possibile con la natura.

Cecilia Bertolazzi, redattrice Web

«Ciclovia della cultura»

Di Andrea Barretta e Paolo Venturini

(Compagnia della Stampa, 2024, pp. 552, 50 euro)

La copertina di Ciclovia della Cultura
La copertina di Ciclovia della Cultura

Un viaggio appassionato (e appassionante) tra Brescia e Bergamo lungo quella Ciclovia che è un lascito tangibile di quella straordinaria esperienza che è stata la Capitale della cultura, un anno (il 2023) che ha visto i due territori cugini uniti per ripartire dopo la tragedia della pandemia. Un viaggio fatto da Andrea Barretta e dal collega Paolo Venturini diventato un approfondito e curatissimo volume – dal titolo, appunto, «Ciclovia della cultura Bergamo e Brescia», edito dalla Compagnia della stampa –, un libro da oltre 550 pagine arricchito da immagini straordinarie, centinaia di fotografie scattate con occhio curioso e professionale. Un libro che si può sfogliare anche solo con gli occhi per iniziare a viaggiare con la mente. Come scrivono gli autori «non è soltanto una linea ciclabile che colleghi luoghi, ma espressione di vita vissuta nei secoli con monumenti da visitare e vedere nella bellezza dell’arte». E siccome strada facendo viene fame, ecco gli approfondimenti enogastronomici. Un volume di opulenta bellezza perfetto anche come regalo.

Francesco Alberti, redattore Cronaca

«Volver»

Di Maurizio De Giovanni

La copertina di Volver
La copertina di Volver

(Einaudi, 2024, pp. 264, 18,50 euro, ebook 10,99 euro)

Un tango. Straziante, malinconico, seducente. Il titolo, «Volver», come una celebra composizione di Carlos Gardel, del resto non mente: con questa sua nuova (e ultima? Chissà…) avventura del suo commissario Ricciardi, ormai ex, per la verità, Maurizio De Giovanni crea una struggente sinfonia del ritorno: verso il passato, gli affetti mancati, i segreti inconfessabili. E infatti i personaggi storici di questa saga ci sono tutti, anche se momentaneamente separati: in una Napoli ridotta alla fame dalla follia di un regime fascista pronto alla guerra si arrabattano il dottor Modo, pronto ad un gesto che potrebbe costargli caro, l’ineffabile femminiello Bambinella, ed un Maione perso senza il suo commissario. Ricciardi, infatti, si è rifugiato con i suoceri, le cui origini ebraiche costituiscono un pericolo, nei suoi possedimenti cilentani, tornando ad essere, semplicemente, il barone di Malomonte. Ma anche qui riesce a farsi impelagare da una indagine privata, per dare giustizia ad un morto ammazzato di oltre trent’anni prima. Quando Ricciardi scoprì, poco più che bambino, di avere la «maledizione» di vedere i fantasmi dei morti di morte violenta. Mentre Ricciardi scava in un passato oscuro e doloroso per arrivare ad un epilogo sorprendente, i suoi poderi sembrano attrarre tutte le persone a lui care. Come se De Giovanni gettasse già le basi per un nuovo romanzo.

Quanto a «Volver», ti avvolge sin dalla prima pagina, carico di sentimenti e passioni. Perché c’è sempre un posto cui tornare. Prima o poi.

Rosario Rampulla, vicecaporedattore

«Lo specchio delle spie»

Di John LeCarré

La copertina di Lo specchio delle spie
La copertina di Lo specchio delle spie

(Traduzione di Adriana Pellegrini, Mondadori, 2019, pp. 304, 13,30 euro, ebook 7,99 euro)

Ci sono pareri molto contrastanti su «Lo specchio delle spie» («The looking glass war»), quarto romanzo di John Le Carré pubblicato nel 1965 a due soli anni di distanza dal grande successo editoriale de «La spia che venne dal freddo». Come ricorda lo stesso autore nella sua prefazione all’edizione Penguin del 2013: «In Gran Bretagna fu accolto con un disprezzo così generale dalla critica che, se l'avessi preso a cuore, mi avrebbe spinto a scegliere un’altra professione, come lavare finestre o fare giornalismo letterario».

Di vero c’è che l’Autore sull’onda del successo della «Spia» fu messo sotto grande pressione dal suo editore americano per pubblicare immediatamente un nuovo libro come ricorda anche il biografo di Le Carré, Adam Sisman. Il processo di stesura fu molto complesso e vi furono molti rimaneggiamenti prima della sua pubblicazione proprio per soddisfare le richieste del pubblico, che in Inghilterra lo fece a pezzi. Secondo Le Carré i lettori britannici non capirono l’obiettivo del romanzo: per lui «La spia che venne dal freddo» aveva glamourizzato il mondo dello spionaggio, la sua idea era quindi renderlo più reale e più crudo.

Non è un caso, dunque, che l’ex direttore della Cia Allen Dulles abbia avuto de «Lo specchio delle spie» un’idea ben chiara: «È un romanzo molto più vicino alla realtà rispetto al suo predecessore». Anche John Kenneth Galbraith – figura quasi epica, che ha attraversato il Secolo Americano – economista, ma anche uomo politico e consigliere di ben tre presidenti americani (Roosevelt, Kennedy e Clinton), ha parlato di questo libro sostenendo che evocava in lui immagini della Baia dei porci, la fallita invasione della Cuba castrista.

Basta questo per dire che «Lo specchio delle spie» è un libro che vale la pena leggere senza nemmeno anticipare i dettagli della trama: è sufficiente dire che il romanzo si svolge ancora una volta tra Inghilterra e Germania est e che c’è una missione da compiere. Concludo ancora con le parole di Le Carré: «Non posso dire, nemmeno ora, quanto bene o male funzioni il romanzo. Forse, come Joseph Conrad osservò di uno dei suoi personaggi, funziona così tanto che non sta in piedi. Quello che so è che era un libro onesto e forse coraggioso. Soprattutto, era il meglio che potessi fare in quel momento».
Ps: È meglio non darsi pena nel cercare la trasposizione cinematografica del 1970 diretta dal premio Oscar Frank Pierson e piena zeppa di stelle. È stata bocciata dalla critica e dallo stesso Le Carré perché confusionaria e con troppe libere interpretazioni.

La prossima recensione sarà dedicata a «Una piccola città in Germania» (titolo originale «A small town in Germany»).

Carlo Muzzi, caporedattore

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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