Grande danza al Teatro Grande: applausi per Kratz ed Eyal
Sabato sera la grande danza è tornata al Teatro Grande. L’ha fatto con due compagnie e due coreografi che si sono presi lunghi e guadagnati applausi dal pubblico di Brescia, che quando assiste a opere performative meritevoli riconosce immediatamente il talento e fa di tutto per farlo sentire agli artisti sul palco (spesso visibilmente commossi dall’affetto).
«Dusk»
«Dusk», la prima delle due pièce in scena, era addirittura una prima nazionale: Philippe Kratz, il coreografo tedesco che dal 2008 vive in Italia, ha debuttato con il duetto crepuscolare ispirato al teatro dell’assurdo di Samuel Beckett (come ci aveva raccontato in questa intervista).
A interpretarlo sono stati una danzatrice e un danzatore del Nuovo Balletto di Toscana, che Kratz dirige dallo scorso luglio. Breve ma intensissimo, il duetto è molto fisico e molto intrecciato, tanto che i corpi spesso sfidano la gravità cercando un equilibrio comune dato dall’incontro tra le loro membra. I due si muovono su un palco spoglio, la cui scenografia è data solo dalle luci, studiate dallo stesso Kratz così come i costumi un po' collegiali, semplicissimi e classici, che rendono i danzatori quasi attori, facendo intuire che in questo lavoro c’è anche molto teatrodanza. Ciò che recitano è il senso dell’attesa, il senso dello scambio, il senso del dialogo e il senso del tempo che non passa mai.
A incorniciarli è anche la musica grave eppure luminosa di Anna von Hausswolff, una composizione per organo dedicata al bosco e alla natura.
«Promise»
Al Nuovo Balletto di Toscana è seguita un’altra compagnia tra le più conosciute in Europa, il Tanzmainz, che a Brescia ha portato «Promise» di Sharon Eyal. Un’opera decisamente più corale – i danzatori erano sette – ma che ha mostrato punti di contatto con il primo lavoro visto sul palco, se non altro nella scenografia creata quasi esclusivamente con le luci.
Gli artisti in scena hanno sedotto il pubblico con una sincronia di movimenti sincopati e ripetitivi, ma sempre leggiadri, portati avanti per quaranta minuti che sono parsi volare in un attimo. Senza distinzione di ruolo o genere, i sette si sono mossi come un unico corpo da cui talvolta emerge il singolo, dimostrando bravura, espressività e pure una resistenza muscolare non indifferente.
Pare di assistere alla purezza della danza contemporanea, che non è classica e banale bellezza dei movimenti precisi e dei corpi in armonia. «Promise» è una performance espressiva e compositiva nella quale trovano spazio un velo di ironia e un po’ di leggerezza, esaltati proprio dal sincronismo e dalla coralità.
Come, d'altra parte, s’è visto con Hofesh Shechter o con Emanuel Gat negli scorsi anni, sempre al Teatro Grande: lo stile dei coreografi israeliani di stanza in Europa ha un nonsoché di fondo che li rende irresistibili.
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