Cultura

Goldstein: «La nostra Carmen più agile, diretta e antiretorica»

Al Grande oggi e domenica il capolavoro di Bizet cui è stato restituito il carattere di «opéra-comique»
Una versione moderna. Una foto di scena della «Carmen» che viene proposta al Grande // PH. ALESSIA SANTAMBROGIO
Una versione moderna. Una foto di scena della «Carmen» che viene proposta al Grande // PH. ALESSIA SANTAMBROGIO
AA

Torna «Carmen» al Teatro Grande in una speciale produzione che se, da un lato, recupera la versione originale di Bizet con i dialoghi recitati, dall’altro, attraverso la lettura del regista Frédéric Roels, reinterpreta in chiave contemporanea il carattere ad un tempo veemente e fragile dei personaggi. Nel cast il mezzosoprano Na’ama Goldman (Carmen), il tenore Luciano Ganci (Don José), il baritono Zoltan Nagy; alla testa dell’Orchestra dei Pomeriggi Musicali il maestro Carlo Goldstein.

Due le recite in programma: stasera, alle 20.30, e dopodomani, domenica, alle 15.30. I biglietti ancora disponibili hanno prezzi compresi tra i 20 e i 60 euro. Abbiamo chiesto alcune anticipazioni sullo spettacolo al maestro Goldstein, uno dei più brillanti direttori d’orchestra italiani delle nuove generazioni.

«Questa produzione - racconta il musicista - ha debuttato a Cremona nei giorni scorsi. Posso anticipare che il regista Roels ed io abbiamo voluto restituire al capolavoro di Bizet il suo carattere di "opéra-comique": non solo con il recupero dei dialoghi parlati presenti nella versione originale, ma anche attraverso una connessione il più possibile convincente, anche dal punto di vista storico, tra le parti recitate e quelle musicali. Abbiamo ripristinato anche numeri del primo atto che di solito vengono tagliati».

Finora come ha reagito il pubblico?
Direi che l’operazione ha convinto su tutta la linea. Io stesso credo che questa versione dell’opera, se realizzata in modo efficace, sia più gradita rispetto a quella con i dialoghi musicati, perché è più agile, diretta, anti-retorica, in definitiva più moderna. D’altra parte non dobbiamo dimenticare che negli ultimi due atti, quando passano in secondo piano gli aspetti leggeri e folcloristici, la scrittura di Bizet si fa più impegnativa, e lo stesso vale per l’approfondimento drammatico e psicologico, fino al momento conclusivo in cui Carmen approda al teatro tragico, universale, assoluto.

È la prima volta che affronta quest’opera?
No, l’ho già diretta in altre occasioni, anche in versioni differenti.

Alla luce di questa esperienza, ritiene che la musica di Bizet abbia una chiarezza assoluta oppure vi sono pagine che si prestano a letture molteplici?
I due discorsi non si contraddicono: in quanto capolavoro, il testo di «Carmen» è chiarissimo, ma quando lo vogliamo approfondire ogni lettura ci offre nuove prospettive e nuovi stimoli.

In questo momento quali repertori predilige?
Temo gli effetti di un’eccessiva specializzazione: dunque passo volentieri dalla musica contemporanea al sinfonico all’opera italiana, ma non solo.

Lei è nato a Trieste: si sente legato a questa città?
Senza dubbio. Trieste ha una grande tradizione musicale; penso a un compositore come Smareglia, stimato da Toscanini ma oggi dimenticato: l’Italia soffre purtroppo di amnesie.

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia