Giuseppe Camadini, testimone fedele del cattolicesimo
«Bisogna che i cattolici italiani non trascurino il culto dei loro predecessori nella lotta per conservare alla nostra trasformata società i tesori della tradizione cristiana, e che abbiano essi stessi coscienza d’essere di tale tradizione e eredi, e custodi, e promotori, quasi anelli dell’aurea catena che da Cristo arriva ai tempi nostri e ai venturi si tende. Né si creda che la modesta storia provinciale di quei buoni che in varie città d’Italia nel secolo scorso ebbero coscienza del mondo nuovo e tentarono con umili mezzi e grande coraggio di scendere, armati del nome cattolico, nell’arringo sociale, non meriti di assurgere ai fasti della tradizione secolare della Chiesa».
Così scriveva l’allora mons. Giovanni Battista Montini nella prefazione alla biografia di Giuseppe Tovini scritta da Antonio Cistellini ed edita da La Scuola nel 1954. Il notaio Giuseppe Camadini, per tutta la vita, si è fatto carico dell’impegno montiniano: custodire le figure illustri del cattolicesimo bresciano, e non solo ovviamente, e farne memoria. E non è certo un caso che tra queste un posto di assoluto rilievo lo abbiano avuto proprio il beato Giuseppe Tovini e san Paolo VI.
Impegno
Leader silenzioso, in questo tipicamente figlio della nostra terra (orgogliosamente camuno per essere precisi), un uomo dotato indubbiamente di grandi capacità rafforzate da un impegno costante e da un’abnegazione che lo hanno portato a confrontarsi con papi e presidenti della Repubblica, Giuseppe Camadini è nato a Brescia il 10 giugno 1931 ed è morto il 25 luglio 2012. Fondazione Camunitas lo ricorderà sabato prossimo, 27 luglio, alle 11 al monastero di San Salvatore a Capo di Ponte con la messa celebrata da monsignor Gabriele Filippini.
«Camadini non ha mai cercato il palcoscenico - ha detto il cardinale Giovanni Battista Re, decano del collegio cardinalizio, camuno e storico amico del notaio -, non è mai stato incline ad essere protagonista sui mezzi di comunicazione, ma ha ugualmente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica ed è fra le figure bresciane più conosciute e benemerite per le responsabilità significative che ha ricoperto e per il valore di pensiero, di operosità e di coerente determinazione che hanno connotato i suoi apporti. Caratteristico anche il suo solido vincolo con la gente e la terra bresciana». E ancora: «Il dovere di contribuire nella società alla costruzione del bene di tutti, come pure il senso della responsabilità del ruolo dei laici nella Chiesa, sono stati fortemente vivi nella sua coscienza ed hanno sempre fatto parte della sua vita, insieme con il posto centrale che la spiritualità deve avere nell’esistenza di un cristiano».
Dare risposte ai bisogni
«Camadini ha raccolto l’eredità di Vittorino Chizzolini nel guardare al mondo intero - ha raccontato suor Saveria Menni -, per entrambi il loro immenso sapere, l’intuire la realtà delle situazioni, dare risposte ai bisogni, non era una ricerca di consenso, ma la trasparenza del loro amore all’uomo e alla Chiesa. Ciascuno cercava l’intuizione dello spirito per poter dar risposta alle situazioni difficili, Camadini attraverso le istituzioni, Chizzolini nel rapporto personale ed amichevole».
Come ha sottolineato Michele Bonetti, designato presidente della Fondazione Tovini dopo la morte di Camadini (che aveva guidato l’istituzione per trent’anni): «Ha vissuto con forza e mitezza; ha sperimentato successi e delusioni, conquiste e defezioni; è stato temuto e invidiato, ammirato e apprezzato. Ciò, come per ogni uomo, ma, per il suo rilievo, le sue responsabilità e il suo senso etico, in maniera straordinaria».
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