Cultura

Garbage: «Siamo tornati più forti e uniti che mai»

Il 9 luglio al Vittoriale. Il chitarrista Marker: «Lavoriamo a un disco che saprà stupire»
I Garbage - © www.giornaledibrescia.it
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Hit-maker da oltre un ventennio. Una di quelle band che mettono d’accordo chiunque. I puristi del rock da una parte e chi è in cerca di ascolti più semplici e diretti dall’altra. Gli americani Garbage hanno questa qualità anche grazie a una line-up che schiera, uno a fianco dell’altra, Butch Vig alla batteria e Shirley Manson alla voce e alla chitarra. La seconda è una delle più carismatiche e intense front-woman degli ultimi decenni. Il primo verrà per sempre accostato a un fatto non esattamente secondario nella storia del rock: nel 1991 produsse «Nevermind» dei Nirvana... Completano la line-up Duke Erikson al basso e Steve Marker alle chitarre, e tutti insieme saranno protagonisti martedì 9 luglio alle 21.15 di un concerto a cinque stelle del Festival Tener-a-mente, al Vittoriale di Gardone Riviera.

I biglietti sono in prevendita a 28.75 euro sul sito www.anfiteatrodelvittoriale.it. Abbiamo intervistato Steve Marker, il quale ha risposto da un hotel olandese, in un momento di pausa del tour.

State preparando un nuovo album di inediti che, a quanto si sa, dovrebbe uscire nel 2020, e quindi a quattro anni di distanza dal precedente «Strange Little Birds». Come procedono i lavori? Siamo consapevoli di trovarci in un buon momento dal punto di vista creativo. Il tour di quest’anno negli Stati Uniti e in Europa si sta rivelando divertentissimo. Poi, ed è un pensiero mio, le canzoni che abbiamo scritto per il nuovo disco suonano alla grande. Dal punto di vista delle atmosfere, non siamo ancora certi dell’esatta direzione da prendere. Quel ch’è certo è che il nuovo album avrà un’impronta differente.

Sapete qual è la parte difficile? Realizzare qualcosa di innovativo, che sia però contemporaneamente riconducibile ai Garbage e quindi immediatamente riconoscibile a tutti. Tra il 2005 («Bleed Like Me») e il 2012 («Not Your Kind Of People») vi siete presi una bella pausa, dal punto di vista discografico.

Fu una scelta necessaria? Quegli anni sono stati ovviamente molto traumatici per l’industria discografica. Internet e il download si sono presi la scena e nessuno sapeva dove sbattere la testa. Eravamo passati dal vendere montagne di dischi a venderne molti meno, e le case discografiche in generale non erano affatto soddisfatte. Oggi posso dire che, senza quella pausa, la nostra band sarebbe letteralmente collassata. Fu la decisione corretta. Adesso sappiamo meglio chi siamo e conosciamo meglio il nostro pubblico. E, infine, siamo più amici di prima. «Push It», «I Think I’m Paranoid», «The World Is Not Enough», «Androgyny», «#1 Crush».

Diciamo che siete piuttosto bravi a scrivere grandi singoli, con ritornelli potenti e a presa rapida. Mica tutti lo sanno fare... Abbiamo sempre messo molta cura nelle fasi di scrittura e di registrazione delle nostre canzoni. Siamo grati del fatto che la nostra attenzione abbia portato a produrre brani che la gente non scorda. Tra noi abbiamo una regola: se qualcuno della band comincia ad annoiarsi di una canzone, quel brano non finirà nel disco. In più, ciascuno di noi ama i grandi classici del pop di ogni era e ama la struttura canzone «classica». Si tratta di inclinazioni che ci influenzano positivamente.

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