Cultura

Galimberti: «Cercavamo la libertà, siamo funzionari della tecnica»

Nicola Rocchi
Per Umberto Galimberti bisogna mettere al centro la vita, che è connessione di tutti gli esseri viventi: l’intervento in occasione de LeXGiornate
Umberto Galimberti - Foto New Reporter Papetti © www.giornaledibrescia.it
Umberto Galimberti - Foto New Reporter Papetti © www.giornaledibrescia.it
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«Non credo più in questa umanità così passiva». Tra una riflessione e l’altra, Umberto Galimberti lascia cadere pensieri amari. Ma la passione argomentativa, il desiderio di spingere il pubblico a pensare oltre gli schemi abituali, lo trasportano sempre. È stato così anche ieri nell’auditorium San Barnaba, dove il filosofo, ospite del festival LeXGiornate, era invitato dal direttore artistico Daniele Alberti a parlare di libertà.

La libertà non esiste

Galimberti ha esordito annunciando che «la libertà non esiste. Esiste l’idea di libertà, e le idee spesso fanno la storia più dei fatti». I Greci, che non credevano nella libertà, praticavano un’«etica del limite»: «L’uomo mortale, che ha la natura come guida, può realizzare se stesso solamente “secondo misura”, senza superare il proprio limite».

Quel confine che, secondo Galimberti, abbiamo varcato sotto l’influenza della cultura giudaico-cristiana: «Per essa la natura è il prodotto della volontà di Dio ed è consegnata all’uomo, padrone del creato. Oggi vediamo gli effetti di questa visione antropocentrica: l’uomo è diventato, come sosteneva Edward Wilson, la forza geofisica più distruttiva».

Biocentrismo

Per salvarsi, bisognerebbe passare dall’antropocentrismo al biocentrismo: «Mettere al centro la vita, che è connessione di tutti gli esseri viventi. L’umanità deve sfidare se stessa e salvare la Terra, la vera nostra patria che viene prima di quella nativa. Ma siamo molto indietro, e questa sarà la nostra rovina». Ormai – è il pensiero che Galimberti ripropone in molte occasioni – siamo andati anche oltre, perché l’uomo che si crede libero è in realtà sottomesso a un potere ben maggiore: quello della tecnica. Lo spiega analizzando i meccanismi dell’economia: «Il denaro è oggi l’unico valore, conta solo ciò che è utile a far denaro. Per i Greci il denaro “vale per legge”, è cioè il simbolo di un bene ma non il bene stesso. Per il cristianesimo, esso va prestato senza aspettarsi la restituzione, ma provate a dirlo alle banche... Hegel affermava che l’aumento quantitativo di un fenomeno modifica anche la qualità del paesaggio. Così avviene per il denaro: più la sua quantità aumenta, più esso diventa il primo fine e non un mezzo per soddisfare i bisogni e produrre beni».

Il mercato

Al rapporto organico con la natura «si sostituisce quello col mercato. Pensiamo in modo mercantile e così rinunciamo ai nostri valori». Il mercato, a sua volta, è regolato dalla stessa razionalità che governa la tecnica: «Ottenere il massimo degli scopi col minimo dei mezzi. L’uomo contemporaneo è diventato un funzionario degli apparati tecnici. La tecnica è la condizione universale per realizzare qualsiasi scopo; quindi è ormai il primo scopo. Cambia così il nostro modo di pensare: non conta più ciò che facciamo, ma come lo facciamo». Da questa condizione scaturiscono anche molte delle nostre angosce: «Ansia, depressione, insonnia nascono dalla velocità dei tempi imposta dall’efficienza tecnica, che ha superato la nostra velocità psichica».

Competizione

Perfino l’inconscio rivelato da Freud subisce una mutazione. «Oggi esiste anche l’inconscio tecnologico, fondato sulle esigenze della tecnica. Tutto è competizione, anche nella scuola dove si vorrebbero eliminare i più deboli, quelli che non funzionano. La scuola italiana non educa, non è capace di far passare dalla pulsione all’emozione, e dall’emozione al sentimento».

Si può uscire da questa schiavitù? Galimberti non lascia speranze: «Non è possibile, certi processi sono irreversibili». Si può solo continuare, come fa il professore, a esercitare la funzione critica: «Stasera non ho convinto nessuno, però qualche sospetto... no, neanche quello».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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