Gad Lerner a Librixia: «La guerra non risolve nulla»
«Se Israele pensa di perpetuare la propria sopravvivenza basandosi solo sulla forza, temo che la strage del 7 ottobre sia un orrendo precedente che avrà altri seguiti». Nel tendone dell’Agrobresciano Arena stracolmo di pubblico, Gad Lerner ha parlato ieri a Librixia con Emanuela Zanotti di «Gaza. Odio e amore per Israele» (Feltrinelli, 256 pp., 18 euro), in un incontro organizzato in collaborazione con Casa della Memoria. Un libro che il giornalista, nato a Beirut da famiglia ebraica, ha scritto nella convinzione che «sviluppare il senso autocritico nella propria comunità, con amorevole dissenso, sia l’aiuto più efficace che possiamo dare a palestinesi e israeliani».
Allarme
«Il fatto che siate così in tanti – ha esordito Lerner – dipende da un senso di allarme di fronte all’incognito: la sensazione che questa guerra, incancrenendosi, abbia raggiunto da un lato un livello di ferocia che prima non c’era, e dall’altro lato si espanda a onde concentriche fino a coinvolgere anche il nostro destino. La mia gente sta bombardando la città in cui sono nato. Miei concittadini ebrei di Beirut sono felici di questo bombardamento. Ma io non lo sono affatto: a un anno dal 7 ottobre, con due popoli stremati, non mi rassicurano questi gruppi dirigenti convinti che estendere il conflitto possa portare la soluzione definitiva».
Gaza è diventata «il simbolo di una contesa che assume una dimensione culturale e morale. Un conflitto in cui è impossibile rimanere neutrali». Chi lo sta vincendo? «Israele vive una situazione di maggiore insicurezza, è più isolata sul piano internazionale e la sua reputazione è macchiata». Ma Lerner si augura che anche nel campo arabo emerga «un senso critico che incontri il nostro appoggio: tra i palestinesi c’è chi vorrebbe dichiarare il 7 ottobre la data di una rivoluzione, inneggiando a quel massacro di civili israeliani. Dovrebbe chiedere alla gente di Gaza o Ramallah se è stata una data felice per i palestinesi o se non ha segnato l’inizio del loro anno più nero. Dal riconoscimento di queste due sconfitte si dovrebbe partire per uscire dalla logica degli schieramenti e capire che il 7 ottobre è una giornata di lutto che ci accomuna».
Appello
Il suo è un appello appassionato perché i due popoli comprendano di essere l’uno lo specchio dell’altro: «I nonni paterni, fuggiti dall’Europa, sono stati gli unici miei familiari sopravvissuti al nazismo. Ma gli israeliani devono anche comprendere cosa è stata nel 1948 la Nakba, la cacciata dei palestinesi dalle loro case. Il loro è il dramma di un popolo di profughi, come gli ebrei che emigrarono in Palestina, persone disperate che non andarono certo per esercitare una forma di colonialismo. In questo reciproco riconoscimento sta la base su cui può lavorare anche la diplomazia internazionale, perché non vincano i fanatici».
Anche noi, lontani da quella tragedia, «veniamo strattonati da chi pure qui alimenta il fanatismo. Mi ha fatto molto piacere l’intervista in cui il presidente della comunità palestinese lombarda condanna i cartelli contro Liliana Segre, esposti a sua insaputa».
Tolleranza
Il problema palestinese, insiste Lerner, non si risolverà con la violenza. «In quel fazzoletto di terra vivono sette milioni di ebrei israeliani e altrettanti arabi palestinesi che non hanno nessun altro posto in cui andare. È questo il dato da cui si deve partire per pensare al dopo».
Ricorda nel libro un dialogo che ebbe con Primo Levi nel 1984: il grande scrittore invitava a «custodire gelosamente il filone ebraico della tolleranza», a trovare il meglio dell’ebraismo nella sua natura «dispersa e policentrica».
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