Franco Solina, l'impresa dell'Eiger 50 anni dopo
Ricorrono il 16 agosto i 50 anni dalla prima salita italiana all’Eiger. Alla rievocazione della conquista è stata dedicata una serata a Bolzano nell’ambito del 60° TrentoFilmfestival. All’appuntamento sono stati invitati i bresciani Franco Solina, uno degli alpinisti che compirono l’impresa, e Giovanni Capra, autore del libro «Due cordate per una parete» (Corbaccio), dedicato alla scalata della terribile Nordwand. Lo stesso Solina sarà ospite venerdì 11 maggio, alle 21, al Castello Oldofredi (via Mirolte) a Iseo, della sottosezione di Iseo del Cai, anche in questo caso per raccontare, col supporto di immagini, la salita all’Eiger.
La serata verrà ripetuta, il 25 maggio, a Rovato, nella sala civica del Foro Boario, in piazza Garibaldi 1, sempre alle 21 e sempre per iniziativa del Cai.
Ecco la storia dell'impresa dell'Eiger
«Quando vado a Buenos Aires a trovare mia figlia, mi mancano le montagne». Eccolo, il nostro Franco Solina, tutto intero in questa frase in cui si avvistano, subito, i due bivacchi della sua vita, la famiglia e la montagna. Indossa sempre la stessa magrezza assunta geneticamente nell'atto di nascita, 1932, e la veste di semplicità e di un rispetto che dà e riceve. Personaggio perfettamente inciso nella pedemontanità della nostra città da cui è andato e venuto, sempre, con un'«appartitudine», cioè un modo unico per esserci e non esserci, il massimo punto in cui la visibilità e la invisibilità confinano. Domenica, a Bolzano, lo accoglieranno per ricordare l'impresa dell'Eiger. Di premi potrebbe riempire la Loggia, ma lui è iscritto alla storia di Cincinnato, compiuta l'impresa si ritorna nell'orto di casa.
Fu così, mezzo secolo fa, splendidamente con la conquista italiana della parete nord dell'Eiger, la montagna arcigna dell'Oberland Bernese, la montagna che aveva aperto il ghigno su quel povero Cristo appeso per un anno in mezzo al vuoto e infine staccato con un pietoso taglio della corda. C'è stato, più tardi, un film interpretato da Clint Eastwood e l'Eiger è diventato ancora più oscuramente leggendario.
Ora, Franco Solina, l'uomo dell'Eiger, è seduto vicino a noi, ci fa respirare l'odore della OM dove lavorava e da cui sognava l'arrivo del sabato per mettersi in contatto, al telefono delle Acli o per lettera, con il suo amico di vita e di cordata, Armando Aste.
«Lui - ricorda - era un formidabile arrampicatore roveretano, accreditato di imprese di altissimo livello. Faremo coppia fissa, sulle pareti e lontano dalle pareti. L'incontro, un caso. La durata della nostra vicenda, un fatto di fedeltà e rispetto. Lui lavora alla Manifattura Tabacchi di Rovereto, io alla OM di Brescia. Il nostro tempo libero era quello che era, sabato e domenica e un paio di settimane di ferie. Fissavamo degli obbiettivi, se faceva brutto tempo, saltavamo un anno».
Non erano mica i tempi in cui con una gazzosa reclamizzata ti portavi a casa un anno di stipendio. E il tempo si scrutava con lo sguardo sul posto, vicino alla montagna, calcolando la velocità del vento e la corsa delle nuvole. In lunghe missive ci si aggiornava sul meteo e sui sogni.
Il progetto
«L'Eiger - ricorda Franco Solina - era comparso in una nicchia rocciosa della grande parete, il Piz Serauta, appendice della Marmolada, stavamo aprendo una nuova via, che sarà chiamata Via Della Madonna Assunta, terminata dopo sei giorni, proprio il 15 agosto. Una salita travagliatissima, angosciante, tre interminabili bivacchi sempre nello stesso punto, neve e tempeste, la parete ghiacciata. Ci facciamo la grande promessa: "Se ce la facciamo, poi affrontiamo l'Eiger"».
L'agosto del 1962 viene prima di quello che Solina e Aste possano immaginare. Appuntamento alla stazione di Brescia, Aste arriva su una Seicento, si carica tutto, compresi due amici e a sera si è a Grindelwald, Oberland Bernese.
Solina rimappa il posto: «Dormiamo in un fienile ai piedi dell'Eiger. Alla prima schiarita attacchiamo la montagna, incombente e gocciolante, tetra come non mai, un enorme triangolo concavo di roccia nera e il sole a toccarlo di striscio. Pensate il caso: alla base della parete incontriamo Pierlorenzo Acquistapace, abilissimo alpinista dei Ragni di Lecco. È in avanscoperta per scrutare il tempo e dare l'ordine dell'attacco, fa da vedetta meteorologica. Acquistapace chiede di unirsi a noi. Un rapido consulto e accettiamo». Acquistapace sarà il solo a mancare, domenica a Bolzano. È morto in un incidente stradale, nell'aprile del 2002.
«Dunque - continua Solina - siamo in tre. Verso sera al primo bivacco, il Buco Bagnato. L'indomani capiremo il senso del nome. Avevamo trovato asciutta quella specie di grotta e all'alba l'acqua colava. Uno stillicidio. Inzuppati, in una situazione drammatica, affrontiamo il secondo giorno, superando il primo nevaio. Dormiamo su una listarella larga 50 centimetri, lunga due metri. Le gambe ciondolano in un vuoto pauroso».
Quelle voci
«Il terzo giorno superiamo un altro nevaio. Siamo attratti da alcune voci dal basso. Sotto di noi si parla il dialetto del nostro Nord. Eccoli, tre, il torinese Andrea Mellano, i lecchesi Romano Perego e Gildo Airoldi, tutti famosi, imprese sterminate. Decidiamo di proseguire in sei, due gruppi di tre o tutti insieme, a seconda del vantaggio della salita. L'Eiger, la partita nord dell'Eiger, è una partita tutta italiana. L'accordo è totale. Siamo nel cuore della salita. La tattica è di arrampicarci fino alle 3, 4 del pomeriggio, quando la parete è ancora fredda per ripararci dalle scariche di neve e di roccia che si intensificano verso le ore serali».
«Il quarto giorno bivacchiamo al Ferro da Stiro, nelle vicinanze del Bivacco della Morte. Il nome è chiaro, in passato, qui, due alpinisti sono morti assiderati».
«Sempre il quarto giorno, il nevaio più ripido. Bivacchiamo in piedi, non si dorme, nevica, siamo un grappolo umano. Il cielo non si vede. Un problema è uscire, un problema è resistere. Sotto, le luci di Grindelwald».
«Quinto giorno, compiamo la Traversata degli Dei; siamo a ridosso delle fessure d'uscita, indoviniamo quella giusta e bivacchiamo su una cengia molto inclinata, a un centinaio di metri dalla calotta nevosa sommitale. Notte da cani, venti gradi sottozero, la roccia è smaltata di ghiaccio».
«Sesto giorno, conquistiamo la parete nord dell'Eiger, agganciamo finalmente la calotta e ci portiamo sulla cima. Da poco è passato mezzogiorno del 16 agosto, ci abbracciamo, ridiamo e piangiamo. La giornata è scintillante. Preghiamo. Poi la discesa. Alle 10 di sera siamo in una tenda vicino ad un albergo. Festeggiamenti quasi niente. Erano i nostri tempi. Voglia di dormire. La parete nord dell'Eiger al centro di un sogno realizzato».
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