Cultura

Fausto Leali si racconta per i suoi 70 anni

Il cantante di Nuvolento parla a cuore aperto tra i successi, i brani che non hanno funzionato, gli errori...
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Fausto Leali: con quel cognome non poteva che volare su le... ali del successo. Eppure qualche «amarognoleria» filtra, durante la lunga chiacchierata - in aperta cortesia - per i 70 anni che il cantante di Nuvolento compirà mercoledì prossimo, 29 ottobre. Settant’anni col piglio d’un ragazzino, intento a sorbire la vita con quel filo d’incoscienza che la rende più bevibile, pur nell’obbligata sovrapposizione di amabilità, inganni e disinganni. Certo, i suoi giorni non sono stati, non sono (non saranno?) senza colore, perché la voglia e soprattutto la voce sono intatte.

In musica leggera - pardon, che démodé, avrei dovuto usare il più inflazionato «pop» - Fausto Leali è il cantante bresciano con più lustro, il suo non è un sole canoro minimo e dunque chapeau per una carriera che ancora tintinna.

Settant’anni, traguardo e ripartenza?
Ripartenza, ripartenza. Gli anni non li sento. Se ti volti indietro che cosa vedi? Vedo cose buone e tantissime sbagliate. Sbagliate? Sì, tanti errori, tante scelte sbagliate. Per esempio, credi in una canzone, pensi che piaccia e poi non va. Oddio, i successi totali sono pochi: Frank Sinatra, Pink Floyd...

L’uomo Leali, al di fuori dell’immagine, com’è? Puoi descriverti? Sono molto apprezzato dagli amici e anche delle mie... tre mogli (compiaciuta risata lealina, ndr), anche quando la storia è finita. Ho rapporti molto belli con i figli della prima e della seconda moglie, è normale averne, sono le loro mamme. I figli sono la cosa più bella dell’uomo.

Hai pubblicato un’autobiografia: per dire che cosa? L’idea era di scrivere soprattutto delle mie canzoni, sulla musica, ovviamente percorrendo un po’ anche la vita: quando sono partito, le difficoltà, i primi successi... La carriera va al passo con la vita, no?

Hai cantato l’amore in lungo e in largo: che cos’è per te l’amore? È una cosa molto bella, ovvio, molto importante: è vero che ho avuto tre mogli, ma l’amore rimane, eterno. L’amore dei figli è il più forte, poi sono nonno di Sabina, 14 anni, e di Deborah, 13.

I nipoti sono la proiezione di te stesso? Veramente ho poco tempo per loro, sono sempre in giro... Brescia sempre nel cuore? Sempre! Guarda, domenica ero a Ponte S. Marco, a casa di mio fratello Luciano a mangiare lo spiedo, con sua moglie Lucia, una donna straordinaria, tutti insieme, noi sei fratelli. La o le canzoni che più ti hanno dato soddisfazione? «A chi». Ostiss, a te! E poi (riprende Fausto, dopo che la gag spontanea ha fatto scaturire una duplice risata, ndr) sono molto legato ad un successo importante, che ha rappresentato il mio rilancio: «Io amo».

C’è un brano che ti sta o ti è stato particolarmente a cuore, ma non ha avuto successo? Sì, «Solo lei», una canzone scritta da due ragazzi di Roma nel 1974. L’avevo sentita cantata da Baglioni in un provino e mi ero anche chiesto perché non la proponeva lui, dato ch’era così bella. Poi Claudio mi aveva detto che l’aveva cantata per fare un favore ad un amico. Tra l’altro era stata incisa anche da Mina. Forse allora non era stata capita. In giro la canto, l’ho ripresa e la gente l’apprezza. Così va il mondo.

Sbaglio o all’inizio la tua voce non era «raschiata»? No, ero un ragazzino con la vocina un po’ così. Poi, a furia di cercare il blues, ho forzato le corde vocali per avere la voce che ho. Però, se fa ’na fadiga de l’ostrega! La definizione stereotipata di «negro bianco» non ti ha mai dato una sensazione di disagio? No, assolutamente! Era, è un complimento, considerando che i neri cantano il blues divinamente.

Nel mondo dello spettacolo quanto conta essere personaggio e quanto persona? Io conto molto di più sulla persona. Il personaggio vale nella musica perché grazie a quella sono identificato e conosciuto di primo acchito: «Guarda, quello è Leali» ed è davvero bello. Come uomo ho ricevuto molti complimenti proprio perché sono una persona normale, con il dono grande di questo lavoro. Le radici sono sempre attaccate: non tanto quelle legate alla località dove sei nato, ma quelle della famiglia, i valori che ha trasmesso, la sofferenza e la povertà iniziali, la fame pazzesca... me li porto sempre dentro. Per questo spendo, largheggio, vivo fortemente. Ricordo sempre quando a Modena stavamo allestendo uno spettacolo e mentre i tecnici lavoravano, io e un amico siamo andati in una paese vicino dove c’era una salumeria rinomata. L’amico aveva chiesto un panino imbottito di un etto di prosciutto. «Un etto?». «Sì - mi aveva risposto - ho sofferto tanta fame...». E questo è il riscatto del povero.

La crisi vola anche in musica leggera? Soprattutto! Un tempo andavano via 15-20 mila dischi al giorno, c’erano venti case discografiche, oggi sono tre nel mondo e se vendi 10mila dischi vali un disco d’oro. Il mio ultimo d’oro, del 1997, era venuto per 50mila dischi. Nel 2003 ho venduto 130mila dischi, ma perché erano legati a Sorrisi & Canzoni. Non ero entrato in classifica perché, appunto, abbinato al settimanale.

La crisi è colpa anche delle canzoni più costruite e meno ispirate? No, le canzoni ci sono, non diciamo ancora le nostre, di me, Morandi e della vecchia guardia, quelle di oggi sono musiche diverse che poi tanto diverse non sono, semmai è diverso il linguaggio. Marco Carta ha vinto «Amici» di Maria De Filippi con la mia canzone «Io amo».

Sei soddisfatto della vita o vorresti essere un po’ rimborsato? Guarda, il critico musicale Salvatori, in una trasmissione televisiva, aveva detto che ero in credito con la vita, che potevo essere molto più in alto, anche se non mi lamento della mia dignitosa carriera.

Il ricordo più amabile e quello più amaro? Il più amaro risale al 1974, quando guidavo un furgone e sono finito in una fossa di cemento con due ragazzi... Il più bello tutte le nascite dei miei figli.

Il futuro? Chi lo sa? Forse Sanremo... Non penso al ritiro. Che starei a casa a fare? Se non vado sul palco sono un uomo morto. Finché ho forza fisica e la voce sono salvo, se la perdi, beh...

Come ti piacerebbe essere ricordato? Per quello che avrebbe potuto avere di più. Un’ultima cosa: non è il popolo bresciano che non mi vuole bene... Tuttavia, l’unico riconoscimento avuto dalla mia città è venuto dal sindaco Bruno Boni. Sono il cantante bresciano di musica leggera più importante, eppure...

Nemo propheta in patria? È così! Guarda ho fatto una serata a Foggia e c’erano 40mila persone... Va beh, Fausto, te salüde! Salüde, se sentóm!

Egidio Bonomi

 
 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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