E Alessandro Manzoni consigliò l'acqua di Boario
Il modo migliore per commemorare uno studioso è salvaguardarne e continuarne l’opera: l’hanno fatto gli autori della miscellanea «Storia, arte e archeologia in Valcamonica, Sebino e Franciacorta. Studi in onore di don Romolo Putelli» (Edizioni del Centro, Centro Camuno di Studi Preistorici, Capo di Ponte, www.ccsp.it , info@ccsp.it ), a cura di Federico Troletti, che con Angelo Giorgi firma la biografia d’apertura: «Romolo Salvo Putelli (1880-1939): una vita "consacrata" alla cultura camuna» (entrambi presenti nel volume con due ricerche proprie e un altro lavoro a quattro mani, sul ritrattista Vincenzo Schena).
I contributi - una trentina - sono affondi specialistici, novità assolute, ma ciascuno è al tempo stesso un riepilogo degli studi in quell’ambito e sul suo sfondo storico, grazie al cospicuo corredo di note e bibliografia che l’accompagnano. Ne risulta un volume sostanziato di concretezza, fatto di case, palazzi, chiese, storie di sculture e di quadri, di pittori e committenti, vecchie armi, oreficeria, libri, lasciti liberali e puntigliosi grovigli d’interessi, itinerari commerciali, letteratura di viaggio, miniere, ferrarezza, riti paganeggianti, arazzi, tavolette da soffitto, affreschi, strade e castelli e borghi e, soprattutto, numerosissimi documenti.
Ma non è solo un libro per addetti ai lavori; anche chi vuol curiosare tra le proprie radici, trova qui di che meravigliarsi: il fido cuoco camuno di Gian Galeazzo Visconti; un salodiano e un altro camuno chiamati in Sardegna per introdurvi l’arte della stampa; Alessandro Manzoni e la sua seconda moglie in cura con l’acqua di Boario, che consigliano agli amici; un arazzo da un cartone del Romanino, e nuovi affreschi suoi; le vicissitudini delle fortificazioni di Lovere; armi forgiate con il ferro indistruttibile dei "forni alla bresciana".
Sono piccole tessere di più vasti mosaici, solidi trampolini per fondare nella realtà di tempi passati sguardi che giungono a illuminare i tempi nostri e i nostri problemi, perché sempre, anche dalle profondità cronologiche dell’archeologia, curano il male di fondo delle teorie e della prassi moderne, che si nutrono di parole e poco o nulla si curano dei fatti, soprattutto se questi ci danno troppo da pensare.
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