Doppio Coez in arrivo a Brescia, sulle ali del «Volare Tour»

Doppio Coez in arrivo a Brescia, sulle ali del «Volare Tour». Il primo appuntamento è stasera, alle 21, al LattePiùLive di via Di Vittorio 38, che peraltro è sold out da settimane, pronto ad accogliere con un bagno di folla (al netto degli accorgimenti dovuti all’emergenza sanitaria) il pioniere dell’urban italiano; il secondo live è previsto invece giovedì 14 aprile al Gran Teatro Morato.
Qualche anno fa Coez - al secolo Silvano Albanese, classe 1983, di origine campana ma cresciuto a Roma - ha individuato la formula giusta non solo per arrivare al cuore degli spettatori, ma per aprire la strada che molti hanno seguito: quella di un cantautorato rap dagli ingredienti calibrati, in cui lo stile crossover tra rappato e cantato poggia su un vocabolario ampio e una cura particolare (crescente album dopo album) per il sound. Una miscela alla quale è arrivato per gradi, secondo una traiettoria che ora pare all’apice, per qualità e maturità, come evidenzia «Volare», disco uscito a dicembre 2021.
Coez, nel giro di 15 giorni sarà due volte bresciano, in un disco-club e in un teatro. Cambiano repertorio e attitudine o resta tutto uguale? Forse io e la mia band tendiamo a essere un po’ più punk nei club, ma per il resto non cambia nulla. Vogliamo far emergere la matrice black che questo disco porta impressa, perché penso da sempre che per un disco non ci sia miglior promo di un concerto. Motivo per cui il primo giro di live è stato pensato per location più raccolte, per vederlo crescere un poco alla volta.
Il cantautorato rap pare un fenomeno soprattutto italiano. È conseguenza della nostra predisposizione alla melodia, che emerge sempre e comunque? È un tema su cui mi è capitato di riflettere di recente. Sono giunto alla conclusione che in Italia, alla fine, ciò che conta è sempre la canzone. Prendiamo Vasco (Rossi, ndr), solo per esempio e non per fare paragoni impropri, visto che lui ha fatto la storia della musica nazionale: in principio, si tendeva a classificarlo come rocker, solo perché tra anni 70 e 80 tutti ascoltavano il rock, quando in realtà lui è molto di più di questo. Ma ciò che è rimasto, sono le sue canzoni, alcune effettivamente rock, molte altre no. Ora, il rap assume le caratteristiche dei luoghi in cui si diffonde: da noi (diversamente da Usa e Inghilterra) si confronta per forza con la forma canzone, e questo lo rende anche popolare.
L’album della svolta è «Faccio un casino» (2017) oppure «Non erano fiori» (2013)? Se penso al successo e dunque alla svolta in senso economico, allora non c’è dubbio che la risposta è «Faccio un casino». Ma se il livello è quello artistico, andrei ancora più indietro, all’ep «Senza mani» (2012), in cui ho gettato le fondamenta per l’urban: magari la voce non era matura, ma il mio percorso attuale comincia lì.
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