Donato Carrisi alla Oz: «Il mio serial killer non è solo un mostro»
Narratore di personaggi che si riflettono l’uno nell’altro, Donato Carrisi si presenta serafico e casual al pubblico dei suoi affezionati lettori - convenuti ieri sera alla Multisala Oz - pronto ad introdurre, secco ed essenziale, la proiezione, gremita, della trasposizione cinematografica del suo bestseller «Io sono l’abisso».
«Sono venuto apposta per raccontarvi il finale del film», scherza l’autore, per rompere il ghiaccio mentre scroscia l’applauso partito al suo ingresso. «La cosa strana - prosegue e conclude sibillino - è che potrei, davvero, svelarvi l’epilogo serenamente, perché oltre alla storia che scorre sullo schermo ce n’è un’altra che fluisce sotto i piedi dello spettatore, nell’abisso, ed è da lì che arriveranno i colpi di scena».
A margine della presentazione, tra richieste di selfie e dediche sulle copie dei suoi libri, il romanziere e regista racconta perché, tra le tante trame affidate alle pagine negli ultimi anni, a trasformarsi in immagini è stata proprio questa: «È la storia a decidere quando è pronta, poiché ci vuole una maturazione che va oltre il romanzo: è vero che io scrivo sempre prima la sceneggiatura e poi il libro, tuttavia serve ugualmente un processo di sviluppo ulteriore prima di passare all’atto cinematografico. Inoltre, proprio in questo periodo sentivo di avere la giusta predisposizione per mettere in scena una storia su un serial killer che facesse anche commuovere il pubblico».
Al centro della vicenda, c’è un assassino capace di compiere un gesto salvifico, con uno slancio improvviso. «È un elemento che definirei romantico, comune a molti criminali dello stesso tipo, che documentandoci scopriamo, tra i tanti omicidi, aver compiuto anche una buona azione. Ritengo importante raccontare questo aspetto: il mostro non è mai totalmente mostruoso, c’è sempre una componente umana. Inserirla nella narrazione è stata una sfida che ho deciso di affrontare».
La pellicola suggerisce l’esistenza di un variegato panorama di soggetti che insieme delineano la cruda realtà attraverso un sistema di maschere utilizzate come archetipi simbolici, senza nomi propri, come già nel libro: l’Uomo che pulisce, la Ragazzina col ciuffo viola, la Cacciatrice di mosche. Questi i caratteri principali che animano l’intreccio, che agita le acque e scuote le rive del lago di Como. «È uno scenario perfetto, apparentemente tranquillo, ma che nasconde in profondità delle correnti impetuose, come quelle dell’animo umano: tutti noi incarniamo un’apparenza che cela tumulti».
Femminicidio e divulgazione di immagini private per vendetta sono due temi scottanti che ribollono nel film: «Sembra quasi blasfemo inserirli in un thriller - chiosa Carrisi -, ma ho trovato la chiave per farlo nel modo che ritengo corretto, ovvero un’angolazione diversa, che si allontana dalla cronaca e ricerca i retroscena».
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