Cultura

Dipendenza da smartphone, il detox per guarire a piccoli passi

La psicoterapeuta Monica Bormetti è autrice del libro «#Egophonia», che sarà presentato il 12 giugno in Serra Tarantola
Monica Bormetti, autrice di «#Egophonia - Gli smartphone tra noi e la vita»
Monica Bormetti, autrice di «#Egophonia - Gli smartphone tra noi e la vita»
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«Tre ore e ventidue minuti al giorno: è grave?». Il nostro approccio con Monica Bormetti - psicologa bresciana e fondatrice di Smart Break, società che si occupa di formazione e digital detox - è stato questo. Da una parte il senso di colpa per il tempo medio di uso del cellulare, dall’altra la consapevolezza di dover lavorare sul proprio benessere digitale, dopo aver letto il suo «#Egophonia - Gli smartphone tra noi e la vita» (Hoepli, 174 pp., 14,90 euro).

Monica Bormetti presenterà il suo saggio mercoledì 12 giugno alle 18 alla libreria Serra Tarantola, in via Porcellaga 4 in città. Dopo il dibattito, ai partecipanti sarà offerto un «Aperitivo senza cellulare», durante il quale sarà richiesto di riporre i telefonini (in modalità aereo) nelle proprie tasche o borse, per godersi il momento e sperimentare un piccolo passo.

Il libro propone una riflessione su come il telefonino sia diventato una protesi dell’esistere e abbia influito sulle nostre capacità di apprendimento, sulle relazioni interpersonali e sul comportamento.

Un’esagerazione? I numeri dicono di no. Secondo l’indagine «Digital 2019» dell’agenzia We are social, 31 milioni di italiani sono attivi da mobile e passano circa sei ore della loro giornata online, di cui un terzo solo sui social network.

Dottoressa Bormetti, siamo sinceri: la situazione è così disperata?
Nessun catastrofismo, per carità, ma è innegabile che ci sia un estremo bisogno di sensibilizzazione. Manca la consapevolezza per i fruitori di ogni età: i bambini iniziano ad avere il telefonino a 9 anni e chi sbarca su Facebook da over 50 spesso si trova imbrigliato in meccanismi del tutto estranei. Se ci guardiamo attorno al bar o al ristorante, che dovrebbero essere luoghi di socializzazione, vediamo persone fisse sugli schermi: ci stiamo isolando. Il senso di smarrimento è normale, gli smartphone sono entrati nelle nostre vite solo dieci anni fa: è ora di fermarci e alfabetizzare, a partire dalle scuole.

È opinione diffusa che lo smartphone sia uno strumento neutro, tutto dipende da come lo si usa. È così?
No, è un mito da sfatare. La tecnologia è in grado di modellare il processo di pensiero, grazie a come è stata progettata. Mi fanno sorridere le mamme convinte che il loro bimbo di un anno sia un genio perché usa il tablet e si cerca da solo i cartoni animati su YouTube. Nessun portento, è il dispositivo studiato per essere così intuitivo.

Ha un che di stregonesco.
Tutt’altro, in realtà è molto semplice. Il cervello umano è plastico e i messaggi che riceve contribuiscono a innescare dei cambiamenti. Consultare in continuazione il telefonino diventa un’abitudine multitasking, anche se spesso finiamo per essere rapiti dalle notifiche, come descrive il fenomeno Googleheimer (dall’unione di Google e Alzheimer): quando cerchiamo informazioni su internet spesso ci dimentichiamo cosa volevamo davvero trovare. Finiamo così per comportarci in modo reattivo e non intenzionale, cioé ci limitiamo a subire gli stimoli.

È vero che addirittura cerchiamo inconsapevolmente i like sui social per rinforzare la nostra autostima?
Certamente. Anche in questo caso, però, sono le app ad essere molto ben studiate: sfruttano il cosiddetto rinforzo variabile, come le slot machine, e l’attesa della gratificazione sovrastimola il rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore implicato nel circuito del piacere.

Nel libro lei spiega come usare lo smartphone più consapevolmente. Da dove si comincia?
Bisogna analizzare il proprio livello di «dipendenza» e porsi degli obiettivi sostenibili: nessun taglio drastico. Un buon inizio è allontanare il cellulare dal comodino e tornare a usare la sveglia analogica, per non guardarlo prima di dormire. Anche un messaggio deterrente sul salvaschermo aiuta: «Perché mi stai sbloccando?». Si possono stabilire dei momenti fissi in cui concedersi l’uso dei social, che così diventa intenzionale e non casuale, disattivare le spunte blu (conferme di lettura) su WhastApp e le notifiche push, eliminare le app superflue. E poi, autoeducarci per educare l’altro, riscoprire il senso dell’attesa e gli spazi reciproci.

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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