Dietro la stazione c'è un museo iper moderno con 1.300 tappeti antichi
La sede è iper moderna, la collezione squisitamente antica: il Mita è destinato a diventare un punto di riferimento degli amanti dell’arte e della cultura. Se non altro perché è un progetto inedito e autentico, nato dalla passione.
Dedicato all’arte tessile, il Museo Internazionale del Tappeto Antico, in via privata De Vitalis, dietro la stazione di Brescia è nato per conservare, esporre e studiare il patrimonio di Fondazione Tassara, nata nel 2008 per volere del collezionista Romain Zaleski. Dopo quattro mostre che ne hanno aperto piccole porzioni - l’ultima nel Ridotto del Teatro Grande - ora i tappeti hanno una casa. Gremita ieri l’inaugurazione: in molti attendevano di vedere la collezione.
La raccolta raduna oltre 1.300 manufatti tessili che vanno dalla fine del XV all’inizio del XX secolo e l’edificio che la ospita è sorto in pochissimo tempo. Un anno di lavori, tanto che gran parte della collezione non è ancora stata trasferita (ma ci starà tutta nei depositi, assicurano).
Il museo
All’opening insieme allo stesso (emozionato) Romain Zaleski e allo studioso britannico Michael Franses c’era anche Wladimir Zaleski, presidente del Mita, che ha annunciato diversi progetti (con la speranza di proporne due al mese): «Vogliamo che Mita sia un centro culturale e che non si chiuda su se stesso, aprendosi invece al quartiere e alla città, parlando di e con le culture non europee. Ci saranno conferenze, concerti con artisti internazionali e locali, eventi che stuzzichino la curiosità. A novembre proporremo già una conferenza e un concerto di musica contemporanea con due artisti bresciani e due iraniani. Di giorno invece formeremo operatori culturali e coinvolgeremo le scuole della città».
Con lui sono d’accordo sia il vicesindaco Federico Manzoni sia Flavio Pasotti, presidente di Fondazione Tassara. Pasotti parla di «operazione di rigenerazione urbana» e della «più grande collezione privata di tappeti». Anche la piazza antistante, dice, è a disposizione del quartiere. «In generale vogliamo far sì che il pubblico conosca i tappeti capendoci davvero qualcosa come quando è di fronte a dipinti e sculture».
La mostra
A essere inaugurata ieri era la mostra «Masterpieces», aperta fino al 10 dicembre, la prima di una serie di mostre temporanee che attingeranno alla sconfinata collezione. Giovanni Valagussa l’ha curata e la descrive come un saggio dei capolavori della collezione. «Lavorando sull’aspetto geografico e sulla qualità siamo partiti dall’Oriente con due tappeti cinesi, uno del Turkestan in Asia Centrale (che è l’area della mostra in Castello), due tappeti indiani - di cui uno davvero spettacolare - e alcuni pezzi da Caucaso, Anatolia (che tendono alla stilizzazione geometrica) e Persia. C’è anche un tappeto polacco, in omaggio all’origine del collezionista».
Sono esposti esemplari molto antichi e chi visita la mostra potrà notare una qualità di conservazione altissima, rara nei tappeti, che venivano consumati dal calpestio. Quali sono i più pregiati? «Quelli più grandi, che venivano realizzati per palazzi e corti reali, come il grande Ming creato per un palazzo imperiale di Pechino o i giganteschi persiani a giardino e con scene di caccia, figurativi oltre che decorativi», svela Valagussa. E anche il grande tappeto indiano steso a terra al primo piano vale più di uno sguardo: solo una decina sono arrivati a noi in uno stato di conservazione così buono.
Qualche indicazione per approcciarsi alla visione dei tappeti. I dettagli più sinuosi - e meno geometrici - indicano minuzia di lavorazione; la seta è tra i materiali più preziosi, ma anche la lana è protagonista dei tappeti più belli, quelli con altissimo numero di nodi; e i tappeti persiani sono così conosciuti per un valido motivo: richiedono manualità e precisione sopraffine.
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