Cultura

Diego Spagnoli: «Vasco soffre, ma è sereno»

«Io spero solo che stia bene. Lavoro per lui e, logicamente, il suo stop è bel problema per me come per tutto lo staff che cura i suoi tour. L'ho sentito via sms: soffre e si sente carico di responsabilità, ma è sereno. Prima di tutte le preoccupazioni personali e di tutti i ragionamenti che si possono fare sulla rockstar, c'è il pensiero per l'uomo. Voglio solo che stia bene». Per Diego Spagnoli, Vasco Rossi è molto più di una star per cui lavorare.
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«Io spero solo che stia bene. Lavoro per lui e, logicamente, il suo stop è bel problema per me come per tutto lo staff che cura i suoi tour. L'ho sentito via sms: soffre e si sente carico di responsabilità, ma è sereno. Prima di tutte le preoccupazioni personali e di tutti i ragionamenti che si possono fare sulla rockstar, c'è il pensiero per l'uomo. Voglio solo che stia bene».

Per Diego Spagnoli, Vasco Rossi è molto più di una star per cui lavorare. Basta un dato, un anno, il 1982. L'Italia vinceva i Mondiali di calcio in Spagna, il bresciano, detto «Gu», iniziava a collaborare col Blasco. Negli anni è diventato tecnico del palco dei suoi tour, prezioso tuttofare e «intrattenitore» durante gli show.

Questa è l'estate di Vasco: dalla costola rotta alla degenza nella clinica bolognese Villalba, fino all'annullamento del Live Kom 2011 Tour (notizia dell'altroieri, Rossi ha bisogno ancora di riposare per 60 giorni), che avrebbe dovuto riprendere sabato a Torino. Questa è l'estate dell'annuncio: «Mi dimetto da rockstar». Questa è l'estate del Blasco che apre il suo cuore su Facebook, utilizzato come piattaforma diretta attraverso la quale comunicare con i fan.

Partiamo dal tour: come hai accolto la notizia dell'annullamento?
È la prima volta che succede in quasi trent'anni di lavoro con Vasco - racconta Spagnoli -. Lunedì eravamo a Torino, stavamo allestendo la sala prove e all'ora di pranzo è arrivata la chiamata dal management. È un periodo brutto per tutti, la crisi c'è in ogni settore anche se il Blasco va sempre alla grande. Ci siamo chiesti: «E adesso che succede?». La consolazione è che potrò essere a casa, e non in tour, per il compleanno di mia figlia. La potrò accompagnare al primo giorno di scuola. L'iniziale preoccupazione, però, ha subito lasciato spazio alla voglia di guardare avanti. Già pensiamo a quando recuperare le date.

È stato un tour particolarmente difficile...
Si vedeva che Vasco era in difficoltà. Però, attenzione, io non ho visto nessun segnale di «autodistruzione», come invece ho letto da qualche parte. Soffriva con la testa, col corpo e con il cuore. Non a caso, la sua interpretazione migliore dello show era «Vivere o niente», in cui canta il verso «Te lo voglio urlare, io sto male». Anche se il Vasco di oggi, per certi versi, mi ricorda quello degli esordi - quando non c'erano i cellulari e Facebook, noi non sapevamo dove fosse e arrivava sul palco in ritardo mentre noi ci beccavamo le lattine piene lanciate dal pubblico - in questo tour ho visto sempre e soltanto la voglia di fare tutto al meglio, nonostante le sue condizioni.

Ti aspettavi che riversasse i suoi pensieri sul social network?
Vasco ha vissuto in una gabbia. È da sempre sotto i riflettori, non può avere una vita normale. Su Facebook forse si sente «liberato» e dice tutto quello che pensa. Ha usato questo mezzo per andare verso gli altri e lo fa in modo coerente, nel bene e nel male. Chiaro, è un'arma a doppio taglio, ma ce ne fosse di gente che si prende la responsabilità di quello che dice come fa lui...

Daniele Ardenghi

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