Dieci libri consigliati per ottobre, con gli auguri alla casa editrice da Nobel
La vittoria del Nobel per la Letteratura di Annie Ernaux è stata un’ottima notizia per L’Orma, una piccola casa editrice indipendente con sede a Roma che proprio quest’anno festeggia i suoi primi dieci anni e che deve buona parte parte della sua notorietà tra i lettori e le lettrici italiani al successo di questa autrice francese.
In questi anni i libri di Ernaux hanno venduto migliaia di copie, con grande soddisfazione per i fondatori de L’Orma Marco Federici Solari e Lorenzo Flabbi, che agli esordi nel 2012 avevano l’obiettivo di portare più letteratura francese e tedesca in Italia. «Avevamo notato che queste due fucine culturali che pure esercitano un'enorme influenza sulla nostra vita non avevano un rispecchiamento editoriale adeguato - ha raccontato Federici Solari a Repubblica -. È il caso di Annie Ernaux, autrice capitale, che era sconosciuta. Da Gallimard abbiamo subito preso i diritti de Il Posto, il primo romanzo che ha scritto con lo stile che l'ha resa inconfondibile, e Gli Anni, il suo libro più ambizioso e di successo». La scelta è risultata vincente e ora c’è solo da aspettarsi che aumentino le vendite dei libri di Ernaux, come succede con i vincitori del Nobel. Il prossimo uscirà l’8 novembre e si intitola «Il ragazzo».
In via Annia 58 a Roma, intanto, si festeggia. E fanno bene, perché non è da tutti azzeccare un Nobel, per quanto si possa essere d’accordo o meno con l'Accademia di Svezia - e per quanto valga, ovviamente, il nostro parere personale in merito. Non capita comunque tutti gli anni specie si è una casa editrice indipendente, che si trova a navigare un mercato pieno di giganti. Ma che evidentemente ha trovato la sua strategia. Quindi bravi, e auguri.
Qui sotto trovate invece i dieci libri consigliati dalle redattrici e dai redattori del Giornale di Brescia per il mese di ottobre. Se volete scriverci per suggerimenti o domande ci trovate sui social o a questa mail.
Ci risentiamo entro il 14 novembre, ciao!
Ps: Se le nostre proposte di ottobre non vi convincono, potete dare un'occhiata ai libri consigliati a settembre.
«The Ink Black Heart»
di J. K. Rowling
(esce in italiano il 25 ottobre per Salani)
Quale che sia il nome che utilizza per firmare i suoi scritti, J. K. Rowling si conferma maestra nell’arte di creare piccoli universi espansi. Siano maghi, babbani e creature che animano la straordinaria epopea di Harry Potter; siano i tipi umani che popolano la serie noir che ruota intorno alla premiata coppia Cormoran Strike - Robin Ellacott. Il sesto libro della serie a firma Robert Galbraith, intitolato «The Ink Black Heart», è uscito il 30 agosto in lingua inglese, mentre è atteso in Italia dal 25 ottobre col titolo «Un cuore nero inchiostro» (Salani).
Il volume, che indaga l’omicidio di Edie Ledwell, creatrice di un popolare cartone animato su YouTube, è stato ben presto travolto dalle critiche. Secondo alcuni il romanzo rappresenterebbe il baluardo delle posizioni ultra conservatrici di cui la Rowling si è fatta portavoce negli ultimi anni. In particolare contro le persone transgender.
Non posso in tutta onestà dire di condividere le accuse mosse in questo caso alla Rowling. O meglio: non posso dire di aver letto nel romanzo un tentativo spassionato di promuovere posizioni discriminatorie. Piuttosto ciò che appare lampante, ancora e ancora, è la capacità della Rowling di tratteggiare ogni minuscolo dettaglio dei suoi mondi immaginari: la scrittura non corre lungo meridiani e paralleli di una mappa a due dimensioni, ma fra dorsali e fosse di un continente multidimesionale. Il pozzo cui attinge la creatività dell’autrice pare in «The Ink Black Heart» davvero inesauribile. Il lettore si ritrova trascinato in un cosmo iperrealistico, che in questo caso comprende anche una dimensione virtuale.
Lasciando ad altra sede i giudizi sulla Rowling e le sue convinzioni, ci limiteremo a dire che se il suo cuore è «nero inchiostro» la sua capacità narrativa è d’oro.
Ilaria Rossi (redazione Cronaca)
«Essere Nanni Moretti»
di Giuseppe Culicchia
(Mondadori, 2017, pp. 264, euro 17)
Bruno Bruni è uno scrittore torinese di nicchia alla disperata ricerca del momento che coronerà la sua carriera: comporre il Grande Romanzo Italiano. Di cosa si tratta? Nemmeno lui sa, sicuramente qualcosa che assomigli al suo inarrivabile concittadino (che lui venera): Alessandro Baricco. Bruno Bruni nutre un odio spasmodico per Giuseppe Culicchia, secondo lui protagonista di un immeritato quanto incomprensibile successo.
Vive la sua quotidianità con la compagna Selvaggia, pole dancer in un locale notturno, l’unica che lo considera un potenziale artista che soffre del blocco dello scrittore. Dopo alcuni fatti che non sveleremo per non fare spoiler, Bruno inizia a farsi crescere la barba e la somiglianza con il regista Nanni Moretti diventa lampante al punto che per strada viene fermato e scambiato per il cineasta.
Partiranno una serie di (dis)avventure che metteranno in crisi d’identità Bruni alla soglia dei 50 anni. Un romanzo leggero che indaga ironicamente le ipocrisie di tutta un’élite culturale un po’ respingente di cui Moretti rappresenta, spesso, la figura massima. Con un bilancio sulla fama e la celebrità che fa trapelare una domanda: baratteremmo l’anonimato di nicchia per il peso di notorietà conquistata per meriti non nostri?
(Arianna Colzi, redazione Web)
«Il peso»
di Liz Moore
(NN Editore, 2022, pp. 363, 19 euro, ebook 9,99 euro)
Dopo l’attentato alle Twin Towers del 2001, un ex insegnante di letteratura si isola nel suo appartamento di New York. Passano anni senza che lui esca da quella casa, abbandonandosi a una piatta quotidianità resa meno insipida solo da un’alimentazione eccessiva e squilibrata che lo porta all’obesità. Arthur Opp passa le sue giornate tra la cucina e la sala, scandite dal palinsesto televisivo e dalla saltuaria corrispondenza con una ex allieva che non vede da tempo. Si chiama Charlene, Arthur non la incontra ormai da anni, ma lei sa ancora suscitargli sentimenti nobili. Charlene, tuttavia, vive ai margini della società: è entrata nel tunnel dell’alcolismo, ha perso il lavoro, non ha né amici né genitori a cui chiedere aiuto. Le resta solo un figlio, Kel, è una promessa del baseball e l’unico che si occupa di lei.
Il peso della solitudine e la leggerezza dell’amore espressi da questi tre personaggi, si tengono in equilibrio senza mai cadere nella banalità nel primo romanzo della scrittrice e musicista americana Liz Moore («Il peso», in Italia per Neri Pozza già nel 2012), recentemente ripubblicato da Enne Enne Editore.
Moore ha una scrittura asciutta ed efficace, che ti trascina fino all’ultima pagina del libro senza darti la certezza di un lieto fine. Il romanzo è ricco di colpi di scena e mette in luce lo scontro tra il peso dell’anima e la leggerezza di accettare ciò che la vita ti propone, senza cadere nel vuoto. «Che cosa accadrà ora, mi sono chiesto – chiosa Arthur Opp nelle ultime righe -. Ma ero solo, e ho scoperto di non avere una risposta». Solo allora ha scoperto che non aveva più paura di sé stesso e degli altri.
(Erminio Bissolotti, redazione Economia)
«La libreria sulla collina»
di Alba Donati
(Einaudi, 2022, pp. 196, 17 euro)
Passare serate deliziose con un libro tra le mani, e addormentarsi sognando il posto dove si è stati bene, leggendo. «La libreria sulla collina» di Alba Donati fa al lettore questo regalo.
L'autrice (presidente del Gabinetto Vieusseux) nel 2019 ha deciso di cambiare vita. Grazie a un crowdfunding e ai social ha aperto una libreria in un paese di 180 abitanti, sull'Appennino lucchese. Lucignana. Il suo paese. Inutile dire che lì ha ritrovato la sua serenità, ma la cosa migliore è che ha scovato anche il modo (vari modi) per far quadrare i conti e per creare, per la sua libreria, un'identità e uno stile (è inserita tra le venti librerie più affascinanti d'Europa). La libreria-giardino, tra biscotti, marmellate e gadget letterari, è diventata di culto: è meta di passeggiate o di vere e proprie spedizioni da ogni parte d'Italia. Vende libri, consigliati via social, travalicando ogni confine. Alba Donati anche nel libro dispensa consigli di lettura, racconta amicizie e passioni, fa il resoconto di una vita. Benché siano scritte nel difficile periodo del lockdown, sono pagine piene di serenità.
(Paola Carmignani, redazione Cultura e Spettacoli)
«Una donna spezzata»
di Simone de Beauvoir
(traduzione di Bruno Fonzi, Einaudi, 2014, pp. 256, euro 12)
Una donna tradita dal marito, una morbosamente attaccata al figlio maschio. L'effetto di déjà vu, aggravato da oltre cinquant'anni di storia dell'emancipazione femminile, è inevitabile. Ma illusorio. Perché nei racconti di Simone de Beauvoir raccolti sotto il titolo «Una donna spezzata» (e in Italia editi da Einaudi) avviene a un certo punto quello slittamento che consente anche a vicende raccontate innumerevoli volte (praticamente tutte le vicende) di parlare d'altro, a personaggi addirittura irritanti come queste due borghesi lagnose e concentrate su se stesse di dire qualcosa di universale.
Così Monique, io narrante del racconto che dà il titolo alla raccolta di tre, finisce per interrogarsi non solo sul senso della vita vissuta fino al tradimento da parte del marito (anche qui nulla di nuovo) ma soprattutto sull'impressione che gli altri possono averne ricavato e più in generale sulla percezione che gli esseri umani hanno gli uni degli altri. Così la protagonista senza nome del secondo racconto («L'età della discrezione»), messa in crisi dalla rottura col figlio, si ritrova a riflettere sulla creatività, o meglio sulla longevità della creatività intellettuale ed esistenziale, ovvero sulla vecchiaia («Mi domandavo come si possa riuscire ancora a vivere quando da se stessi non si spera più niente»). Insomma, nulla di banale, men che meno lo stile della narrazione che emerge anche da una traduzione a tratti un po' polverosa. Fino allo schiaffo dell'ultimo racconto, «Monologo». Senza sbocco, a differenza degli altri. Nudo, disperato. Come, al di là (ancora una volta) della vicenda, solo pochi eletti non si sono mai sentiti.
(Francesca Sandrini, vicecaposervizio Cronaca)
«Il caso Alaska Sanders»
di Joël Dicker
(traduzione di Milena Zemira Ciccimarra, La Nave di Teseo, 2022, pp. 624, euro 20,90, ebook 11,99 euro)
Marcus Goldman, lo scrittore-feticcio di Joël Dicker, torna ad indagare e lo fa con il sergente Gahalowood che già abbiamo conosciuto nel best seller «La verità sul caso Harry Quebert» del 2012 (e - questo è l'unico spoiler che avrete - nel racconto torna anche lui dopo un lungo periodo di oblio volontario).
In «Il caso Alaska Sanders» lo scrittore svizzero ci porta ancora una volta negli States, a Mount Pleasant, una tranquilla cittadina del New Hampshire e poi nella più famosa Salem nel Massachusetts. Chi scrive è una lettrice ingenua che si lascia trasportare dal racconto e questo fila dritto muovendosi tra vari piani temporali, i principali sono, appunto, il 2010 e il 1999. Un ping pong nel tempo che necessita dell'attenzione del lettore il quale altrimenti si perderebbe nelle pieghe della narrazione e, soprattutto, non coglierebbe gli indizi che lo scrittore semina sapientemente.
Goldman e Gahalowood indagano sulla morte di Alaska Sanders una bellissima donna uccisa 11 anni prima e per cui, dopo un'indagine lampo, è stato condannato un uomo che si dichiara innocente. Niente anticipazioni, come dicevo, la trama che è un continuo ribaltamento di ciò che diamo per sicuro. Come Dicker ci ha abituali, infatti, tutto viene ribaltato più volte, prima filtrato dai punti di vista dei protagonisti e dei testimoni, i non detti, i racconti deformati. I personaggi, vittima compresa, acquisiscono un po' alla volta tridimensionalità, non ci sono buoni e cattivi ma, come nella realtà, esseri umani con le loro bruttezze, debolezze, segreti e reazioni. E così di pista in pista, in un domino di casi che si incastrano tra loro, il sergente Perry Gahalowood e l'amico scrittore Marcus Goldman arriveranno alla verità.
(Elisa Rossi, redazione Cronaca)
«La vita paga il sabato»
di Davide Longo
(Einaudi, 2022, pp. 528, euro 19, ebook 9,99 euro)
C'è sempre un qualcosa di preoccupante nella serialità letteraria. Può un personaggio reggere all'usura di tre, quattro, cinquanta libri su di lui?
Eppure in questa tentazione c'è cascato anche Davide Longo, che con «La vita paga il sabato», rimette in pista la squadra composta dal commissario Arcadipane e dall'ex commissario Corso Bramard. E per fortuna che lo ha fatto, avendo piazzato - in una serie già di livello - un colpo da vero maestro. Poche storie, che Longo avesse un qualcosa di unico era già evidente.
La coerenza lessicale, la capacità di cambiare registro con facilità rifuggendo il banale di certi (troppi) gialli/polizeschi. L'abilità nello scavare a fondo nelle anime sofferenti dei suoi personaggi. Che stavolta spedisce in una solitaria località del Piemonte, dipanando una matassa di rancori, politica, amori e vendette a metà tra rotocalco e pagine di cronaca nera d'antan, da vivere tra Roma e il cuneese. A partire dalla morte di un famoso produttore cinematografico del passato. E della scomparsa di una diva del cinema che fu. Accanto ad Arcadipane e Bramard non possono mancare Isa e Ariel, spiriti pazzerelli che vivacizzano una trama complessa e melmosa. Dove il silenzio (delle montagne, dei sospettati, dell'anima…) ingigantisce un senso di cupo disagio, che ti prende per mano. Pagina dopo pagina.
(Rosario Rampulla, caposervizio Cronaca)
«Quaderni Ucraini. Diario di un’invasione»
di Igort
(Oblomov, 2022, pp. 168, euro 20)
Un vecchio malinteso vuole che, a un certo punto, il racconto di una guerra si esaurisca nel catalogo dei morti e nelle mosse e contromosse militari. Inchiodati dalla cronaca quotidiana, il rischio è di perdere di vista l’insieme e soprattutto dimenticare che sotto i bombardamenti continuano a vivere persone: donne, bambini, anziani, uomini, fragili. I «Quaderni Ucraini» di Igort ci riportano proprio a loro.
L’ultima graphic novel del fumettista, regista ed editore italiano dal nome russo Igor Tuveri, in arte Igort, è un «Diario di un’invasione» - invasione è la parola corretta per descrivere cosa è accaduto il 24 febbraio 2022 in Ucraina - che attraverso disegni e testo ci racconta le vite e le voci che «altrimenti rimarrebbero invisibili, sepolte dal fragore delle bombe». Sono testimonianze di amici e conoscenti raccolte in tempo reale da Igort, che in Ucraina ha vissuto per diversi anni (i primi «Quaderni ucraini. Memorie dai tempi dell’Urss» uscirono nel 2010). E’ un libro che ripercorre diverse fasi storiche cruciali per capire cosa sta succedendo ora, dall’invasione della Crimea nel 2014 all’«holodomor» del ’32-’33, la grande carestia provocata dall’Unione Sovietica di Stalin. Ne emerge un condensato di storie personali vagliate dalla narrazione dei grandi orrori degli ultimi mesi, Bucha, Mariupol, l’assedio alle acciaierie Azovstal. Non c’è voyeurismo né spazio per gesta eroiche tranne che per la solidarietà degli ultimi. I «Quaderni Ucraini. Diario di un’invasione» sono scritti da qualcuno che si è fatto attraversare dal dolore per ricordarci che è nostro dovere di cittadini europei, privilegiati e al sicuro, continuare a guardare.
(Laura Fasani, redazione Web)
«Ferrovie del Messico»
di Gian Marco Griffi
(Laurana Editore, 2022, pp. 824, euro 22)
Tentare di recensire «Ferrovie del Messico» di Gian Marco Griffi in una manciata di righe è un po' come, se mi passa il parallelismo ciclistico, provare a scalare il Mortirolo in Graziella a marcia indietro. Un monumento di carta e inchiostro di oltre 800 pagine, in cui storia, ironia, letteratura, mito, spirito lirico e gusto per il surreale si fondono in ogni capitolo, rappresenta un'esperienza di lettura rara quanto raffinata e struggente, entusiasmante e spiazzante. Eppure incredibilmente popolare. Per capire la vertigine enciclopedica, sospesa tra epica e tragicommedia, in cui si trova catapultato chi si mette sulle tracce di Cesco Magetti, giovane milite della Guardia nazionale ferroviaria della Rsi nella nebbiosa Asti del 1944, si potrebbe provare a passare in rassegna l'impensabile schiera di personaggi che lo attorniano. Tra questi possiamo incontrare un cartografo samoano come una straordinaria coppia di custodi cimiteriali, dediti alla bollitura di cadaveri, Angelo Angelito «Lito» Zanon (una figura che meriterebbe uno spin-off) e il muto poeta Mec, già costruttori di ferrovie in Sud America, il cui racconto commuove e delizia, in un'altalena di rimandi letterari e giochi pirotecnici che scavano nella carne. Con Cesco scopriamo una bibliotecaria bella e completamente folle, Tilde, e giovani partigiani disarmati, frenatori poeti e SS che giocano a golf, orfani attori-truffatori da due lire che insieme a curandere disperse nella campagna piemontese muovono una giostra di impressionante complessità e meraviglia narrativa.
L'altra via percorribile per offrire una suggestione di cosa sia Ferrovie del Messico è quella della antologia di riferimenti letterari così ben lavorati nell'officina Griffi da renderli godibili tanto a chi ha frequentazioni di Gadda, Eco, Svevo, Fenoglio, Pavese, Kafka, Marquez o Borges, per citare i principali autori di cui si trova traccia, quanto a chi affronta invenzioni e trovate come spumeggianti accidenti del vulcano narrativo racchiuso nel cuore piemontese di Griffi, nella quotidianità manager di golf club, di fatto alla sua terza sortita in libreria.
A proposito, la trama e il titolo del romanzo, che in una prosa formidabile e capace di attingere a molti registri differenti, di fondo è d'avventura e di avventure, al limite del picaresco. Al Magetti, un tipo alla Zeno di Svevo, viene dato ordine di rimediare una mappa delle ferrovie del Messico. Richiesta che viene dall'alto, nientemeno che dalla Cancelleria di Berlino, per una sfilza di equivoci che sono uno sberleffo unico dei regimi dell'asse, indagati con la lente deformante dell'ironia e del grottesco. L'unica opera che pare custodire una carta delle sconosciute vie ferrate del Messico è un'introvabile edizione della Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México di Gustavo Adolfo Baz (a voi scoprire se l'opera esiste davvero). La ricerca del volume è alla base di tutte le avventure e degli incredibili incontri di Cesco. Che poi vi mancherà. Una raccomandazione: non leggete questo romanzo se al momento soffrite di mal di denti, il vostro potrebbe trovare un insopportabile doppio (con effetto moltiplicatore) in quello dello sventurato protagonista. E non riuscireste più a ridere, facendo un torto a Griffi stesso, che con quest'opera scritta in stato di grazia pare dirci che ironia e sentimento lirico sono gli strumenti più autentici per affrontare la vita.
(Gianluca Gallinari, caposervizio redazione Web)
«L'eco del boato»
di Mirco Dondi
(Editori Laterza, 2022, prima edizione 2015, pp. 454, euro 28, ebook 16,99 euro)
Il 12 dicembre 1969 alle ore 16.37 nella sede della Banca nazionale dell'agricoltura in Piazza Fontana a Milano scoppia una bomba che uccide 16 persone e ne ferisce 105. Quattro giorni dopo l'anarchico Pietro Valpreda viene arrestato «in quanto autore della strage». Sono i giornali a trovare il colpevole: i principali quotidiani nazionali titolano e scrivono dell'ex ballerino squattrinato trasformatosi in bombarolo, sbattendo il mostro in prima pagina nella foto che lo ritrae col pugno alzato durante una mobilitazione. I telegiornali replicano i comunicati della questura di Milano: giustizia è fatta. Valpreda trascorrerà tre in carcere, prima di essere assolto. Dopo indagini continuamente depistate, commissioni ad hoc e faticosissimi processi, nel 1987 la Cassazione riterrà responsabili i militanti neri di Ordine Nuovo Franco Freda e Giovanni Ventura, che però non possono più essere condannati perché già assolti in via definitiva.
La «pista rossa» si rivela un'ossessione dei politici e una forzatura degli inquirenti, manovrati da chi voleva che i veri colpevoli rimanessero nascosti. Ma nel far emergere la verità sulle stragi nere e portare alla comprensione gli anni di piombo, da Piazza Fontana a Piazza Loggia a Brescia, molta responsabilità ce l'hanno avuta giornalisti e giornali. I quali però sono stati, spesso consapevolmente e volontariamente, strumento di propaganda e macchinazione delle strategie di stay-behind, degli orientamenti favorevoli ai servizi segreti italiani e della Cia, e dei rapporti informali tra lo Stato e i gruppi eversivi neofascisti.
Grazie a un'analisi rigorosissima che combina la ricerca storica alla spiegazione semiotica, ne «L'eco del boato» il professore di Storia contemporanea dell'Università di Bologna Mirco Dondi spiega la strategia della tensione e gli anni più difficili dell'Italia Repubblicana attraverso la loro rappresentazione sui giornali e in tv, evidenziando il rapporto inquietante tra i principali mass media di quegli anni e i poteri clandestini.
(Michele Maestroni)
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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