Dialèktika

La rotondità dei soldi fra Socrate e le galline

Cosa raccontano i proverbi bresciani sul denaro
Soldi
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«I dìs che i sólcc i-a bèca gnà le galìne, però quand che gh’è de catài sö en dèl polér sa tìra ’ndré nüsü». L’antica saggezza del signore in giacca e panciotto che incrocio in centro città mi arriva come una schioppettata. Racconta alla perfezione il rapporto dei bipedi con il denaro: indifferenza serena e vera quella dei pennuti, distacco ostentato e fasullo quello di noi implumi.

Peraltro i soldi sono spesso al centro delle considerazioni che la parlata dei nostri nonni ha trasformato in brocardi. Ce n’è una serie che sottolinea la volatilità del denaro facile: «I sólcc del lòt i và de tròt» (i soldi vinti al lotto se ne vanno di corsa), e ancora «I sòlcc del zöc i té póc löc» (i soldi legati al gioco a carte non si accasano a lungo).

Non mancano i proverbi intrisi di disillusione. Come «Sólcc tàncc amìci tàncc, sólcc póc amìci póc» (peraltro la mancanza contemporanea di soldi e amici era già tema di vecchi blues degli anni Trenta). Detto della algida crudeltà del denaro che non guarda in faccia a nessuno («I sólcc i fa mìa amicìsia») e della loro instabilità («I sólcc i-è rodóncc, i pìrla sèmper vià»), non manca un cenno alla signorilità con la quale i lavoratori preferiscano saldare velocemente i propri debiti («Braghe ónte palànche prónte») ma anche alla sfacciataggine con cui talvolta proprio i meno abbienti esibiscono i rari gruzzoli («Le bàle dei cà ei sólcc del poarèt i-è i prìm che se ’èt»).

C’è infine il cinico «L’è mèi ’ìghen che saìghen», per dire che la ricchezza pesa più della saggezza. Proverbio che lascia l’amaro in bocca. Pensate un po’ come debba sentirsi uno squattrinato filosofo che sa di non averne e che - socraticamente - sa di non sapere.

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