«Detesto gli inutili cigolismi, sono un impollinatore del suono»
«Scrivere musica è entrare in un cantiere, un laboratorio, un trovarobato, un deposito di materiale. Mi servono dei chiodi? Li cerco, li trovo, li impiego. Una melodia particolare? Eccola, pronta all’uso». L’artigiano del suono Rossano Pinelli non teme di sposare la potenza di fuoco del rock e la coerenza classica, fa convivere la verve ritmica dell’Africa e la raffinatezza timbrica dell’Europa, l’orologio svizzero e la clava, il pianto e il sorriso.
L'ennesima riprova il concerto di lunedì 13 dicembre nel Ridotto del Teatro Grande, con una sua prima esecuzione assoluta, «Nôtre-Dame de le Babenzele», per pianoforte a quattro mani, - il titolo allude alle due principali fonti di ispirazione, la musica duecentesca dell’Ars Antiqua francese e quella dei Pigmei Aka -, più altri suoi brani, e due pezzi di Salvatore Sciarrino e Frank Zappa, con i pianisti Giovanni Mancuso e Andrea Rebaudengo.
Come far stare insieme Pigmei e Magister Perotinus?
È un falso problema. Già Ligeti, Reich, l’etnomusicologia hanno mostrato profonde analogie fra musiche dell’antichità e altre di provenienza popolare. Basterebbe confrontare l’hoquetus medievale (quell’effetto «singhiozzante» dovuto a interruzioni brevi e frequenti della linea melodica) con le tante poliritmie extra-europee: incredibili affinità. La musica etnica è una continua scoperta. Negli anni ’70 mio cugino mi regalò i suoi dischi di musica bulgara. Non sapeva che farsene. Io, al contrario, scoprii un tesoro. Lo confesso: il suono mediterraneo m’interessa poco. Piuttosto, la mia sensibilità è balcanica. Non so che farmene dei «cigolismi».
Cosa sono?
Inutili esercizi in stile, né carne né pesce, la traduzione musicale del concetto di cerebrotico: cerebrale più cervellotico. Sono effetti sonori che mettono in mostra l’ego del compositore, non la musica. «L’autore deve sparire dietro alle note», mi raccomandava Louis Andriessen, maestro olandese con cui ho avuto l’onore di studiare, purtroppo scomparso in luglio. Trovo Perotino di una modernità sconcertante. Attualizzare ciò che c’è di fecondo nel passato è un mio imperativo. La vera arte è carne, sangue, passione. A questo miro.
Il pianista Mancuso mi ha ringraziato per la bellezza del brano «Nôtre-Dame», tuttavia mi ha «maledetto» per l’assurda difficoltà esecutiva. Ha osservato come la mia musica sia estranea a qualsiasi «mainstream», parola che non uso e poco conosco: ignoro quale oggi sia la «corrente dominante», né m’interessa saperlo. D’altra parte, ascolto musica dei pigmei da oltre trent’anni e ogni volta mi stupisce e commuove.
Cosa volete me ne importi delle mode effimere? Perseguo una sintesi, pur convergendo alla ricerca di un linguaggio unitario. Mi sento un impollinatore musicale. Aperto a molteplici suggestioni. Anche il mare è fatto di gocce. E poi, dormo fra due cuscini: Rebaudengo è un pianista fotonico, Mancuso un musicista incredibile. Cosa volere di più?
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