Del Grande: «L’immigrazione ci salverà dall’inverno demografico»

Accadrà nel 2050: «I 280 milioni di emigranti che attualmente vivono in un Paese diverso dal proprio diventeranno 430 milioni». Al posto dei centri di prima accoglienza sorgeranno «musei nazionali dell’immigrazione». I nuovi cittadini verranno a visitarli, «per rendere omaggio ai propri avi» scampati ai «barconi della morte».
È la profezia che apre il libro di Gabriele Del Grande «Il secolo mobile» (Mondadori, 636 pp. 25 euro), un ampio e documentato resoconto in cui è ripercorsa la «storia dell’immigrazione illegale in Europa» dall’inizio del ’900 ad oggi (e domani). Quel libro, uscito lo scorso anno, è ora diventato un monologo che Del Grande – scrittore e giornalista, fondatore nel 2006 di Fortress Europe, il primo osservatorio sulle vittime della frontiera – porterà a Brescia sabato prossimo, 16 novembre, alle 20.30 nell’auditorium San Barnaba (ingresso libero), ospite del Festival della Pace su invito del Gruppo di iniziativa territoriale di socie e soci di Banca Etica. In attesa di vederlo in città, abbiamo intervistato l’autore.
Del Grande, come ha condensato la sua ricerca in una performance?
Ho selezionato i passaggi chiave del testo, mantenendo prospettiva europea e sguardo sul futuro. Poi ho setacciato gli archivi fotografici del Novecento e ho montato il tutto con l’aggiunta di qualche infografica.
Da dove arrivavano in Europa gli immigrati, prima che l’attenzione si concentrasse sugli sbarchi?
Arrivavano dagli stessi posti – Africa, Asia e Caraibi – ma viaggiavano liberamente. Francia, Regno Unito e Germania dell’Ovest esentavano dal visto i lavoratori in arrivo da ex-colonie e Turchia, per incoraggiare l’arrivo di manodopera con cui pompare il miracolo economico del dopoguerra. L’Europa aveva perso milioni di uomini in guerra, gli immigrati del suo Sud – italiani compresi – non bastavano e dall’Est non se ne potevano fare arrivare perché c’era la guerra fredda.
Quando le cose cambiarono?
In seguito alla caduta del muro di Berlino, con il nuovo regime dei visti di Schengen che finì per privilegiare l’immigrazione dall’Europa orientale a scapito delle indesiderate diaspore afro-asiatiche. Gli sbarchi cominciarono proprio allora. Quando i viaggi dei poveri, vietati per legge, iniziarono a essere rivenduti sulle rotte del contrabbando nel Mediterraneo.
Lei ricorda che fino agli anni Novanta, in Italia, l’immigrazione non era vista come una minaccia.
La percezione dell’immigrazione non bianca ha iniziato a cambiare negli anni Duemila, man mano che le presenze aumentavano e che la politica, come nel resto d’Europa, iniziava a inseguire il consenso facendo leva sulle paure della sostituzione etnica e sui fantasmi irrisolti del razzismo scientifico.
Ricostruisce, tra l’altro, i complessi rapporti tra Italia e Libia sull’immigrazione…
I primi accordi con Tripoli risalgono al 2004. Vent’anni e svariati miliardi dopo, le mafie del contrabbando continuano e continueranno a operare finché ci saranno viaggiatori in cerca di un passaggio senza visto per l’Unione europea. Che sia dalla Libia o da altri porti franchi. Il problema è a monte e sta nell’assenza di canali d’ingresso legali.
Ci sono state misure che hanno effettivamente saputo frenare o regolare l’immigrazione?
In generale i governi che incoraggiano la mobilità di est-europei e latino-americani sono gli stessi che mantengono visti e controlli anti-immigrazione con l’Africa e con l’Asia, spingendo sempre più emigranti a imbarcarsi con le mafie. Se questo è il quadro, la trovata attuale dei centri in Albania farebbe ridere se non fosse per il miliardo di fondi pubblici sprecati.
Lei propone di «abolire il divieto di viaggio dei poveri». Non aggraverebbe i problemi?
Dal 1991 gli sbarchi hanno contribuito appena al 10% degli ingressi nell’UE. Persino in uno scenario a sbarchi zero, da qui al 2050 solo dall’Africa arriveranno in aereo in Europa 15 milioni di persone. E per fortuna, perché ci salveranno dall’inverno demografico. Di fronte a questi numeri perché non dovremmo legalizzare le migrazioni? Perché ne arriverebbero troppi, anticipo l’obiezione. Ne siete così sicuri? Io dopo vent’anni sul campo, numeri alla mano, sono pronto a farvi ricredere.
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