D’Avenia a Brescia per LeXGiornate: «La scuola, viaggio di Ulisse»
Fra le tante, troppe cose di cui ci siamo dimenticati, vi è anche il significato originario della parola «scuola». Derivata dal greco «scholé», equivalente di «otium» per i latini, sta ad indicare il tempo libero, un piacevole uso delle proprie disposizioni intellettuali, a prescindere da ogni scopo pratico. «Tutto il contrario di ciò che facciamo ora».
L’appuntamento
Lo afferma Alessandro D'Avenia, atteso ospite all’incontro inaugurale della 19esima edizione del Festival LeXGiornate, avente come claim «Verso nuovi futuri», e professore sui generis, tanto da essere annoverato tra i dieci autori più amati e letti dai giovani.
La dimostrazione? Il pubblico, fra cui tanti ragazzi e ragazze, che ieri sera ha gremito il cortile d’onore del liceo classico Arici per lo spettacolo «Naufragare è salvezza: la nostra odissea quotidiana», tratto dal libro «Resisti cuore», in cui lo scrittore, sceneggiatore e insegnante siciliano ripercorre i 24 Canti dell’Odissea omerica, interpretata come un inno all’arte di vivere. E dove, attraverso le peripezie di Ulisse, ciascuno di noi può rintracciare la propria esperienza personale ed esistenziale.
«Lo aspettavamo da molto tempo: ci porterà dentro la nostalgia creativa di Ulisse, toccando uno dei temi della rassegna» ha detto il direttore artistico del Festival, Daniele Alberti, introducendo D’Avenia. Intervenuta anche la preside dell’Arici, Paola Amarelli, la quale ricorda, ispirandosi al poema di Omero eletto a principale ambito d’interesse, che «la vita non è sempre facile, ma non siamo noi i primi cui capitano certe cose».
Bellezza, bene e verità
L’attacco di D’Avenia è sulla bellezza, uno dei tre elementi chiave che «riempiono la vita di senso», accanto a bene e verità: «La bellezza in un certo senso mette in pericolo la vita delle persone; la scuola dovrebbe essere quel luogo in cui incontriamo cose talmente belle da farci intuire che ciascuno di noi ha un talento».
E torniamo al concetto di scuola come «tempo libero» (rinnegarlo è «tradire proprio quei greci che studiamo»), quel tempo «che si poteva dedicare a ciò che non è lottare per morire»; azione, quest’ultima, comune a tutti gli esseri viventi con l’unica eccezione dell’uomo, il quale «sa» di dover morire e, per ciò stesso, può imparare ad essere vivo.
L’Odissea si apre con l’immagine della dea Atena, che, travestita da «mentore» e disgustata dalla presenza dei Proci nella reggia di Itaca, incita Telemaco a cercare il padre che è ancora vivo. A palazzo Penelope, intenta a tessere di giorno la tela (che disfa ogni notte), sta a sua volta compiendo il proprio viaggio, parallelamente al marito «presente in assenza».
«I primi quattro capitoli – racconta D’Avenia – sono dedicati a questo: Atena mette Telemaco di fronte al suo dolore, lo sprona ad incontrare il suo destino, qualcosa che viene da lontano. Noi invece abbiamo sostituito i destini con le carriere; carriera vuol dire correre, ecco perché i ragazzi hanno l’ansia.
Dobbiamo insegnare loro il senso dell’irripetibilità affinché possano andarsi a prendere nel mondo quello che serve per creare la forma che davvero vogliono».
Accostare i classici, rileggere l’Odissea (e D’Avenia da anni ne promuove la lettura integrale ad alta voce) è il modo migliore per «fare ritorno». Alla fine, Nessuno, il tema del «nostos», non è che un ritorno verso se stessi. Chi l’ha detto che Ulisse è un eroe in quanto essere straordinario? «Eroe» altri non è che un uomo, radicato nella storia: sceglie il presente e, paradossalmente, diventa immortale.
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