Cultura

Cosa c’è dietro il brutto anatroccolo e la sirenetta?

Claudio Baroni
«Oltre il racconto» allarga l’orizzonte ad una quindicina di storie scritte da Hans Christian Andersen: gli autori sono Mathias Tistelgren e il bresciano Andrea Modesto
«Il brutto anatroccolo» è una delle fiabe più celebri di Andersen - Foto Unsplash
«Il brutto anatroccolo» è una delle fiabe più celebri di Andersen - Foto Unsplash
AA

Leggere la storia del brutto anatroccolo come una vicenda di xenofobia, oppure di conformismo, di solitudine o di utopia, può essere un affascinante esercizio di pratica filosofica. Così come analizzare la favola della principessa sul pisello come esempio di sensibilità o di vittimismo, di ironia o di inganno. «Oltre il racconto» (Compagnia della stampa, 432 pp., 30 euro) allarga l’orizzonte ad una quindicina di storie scritte da Hans Christian Andersen in un excursus assai curioso fra le più celebri favole che hanno incantato l’infanzia di tutto il mondo. Gli autori sono Andrea Modesto e Mathias Tistelgren, il primo è un giovane docente bresciano di storia e filosofia che dopo una decina d’anni di incarichi nei licei bresciani finalmente a settembre avrà una cattedra sua, il secondo è un filosofo pratico che insegna filosofia e inglese in una scuola superiore della città dove vive, a Göteborg, in Svezia. Si sono incontrati in Francia, all’Institut de pratiques philosophiques creato ad Argenteuil da una coppia di filosofi d’Oltralpe, Oscar Brenifier e Isabelle Million, che raduna un folto gruppo di studiosi da tutto il mondo.

Lo scrittore

Durante uno di questi laboratori Modesto e Tistengren si sono trovati a collaborare sui testi di Andersen. Lo scrittore nato a Odense nel 1805 e morto a Copenaghen nel 1875 si presta meravigliosamente all’analisi filosofica. A modo suo, lui stesso era un brutto anatroccolo: padre ciabattino, madre lavandaia e analfabeta, sosteneva di essere figlio illegittimo di un nobile, forse addirittura del re Cristiano VIII. Frequentò una scuola per poveri, fu bullizzato, ma si riteneva destinato al successo perché dotato di talenti fuori dal comune. E il successo lo avrà, anche se meno facilmente di quanto volle far credere. Le sue non sono favole con tanto di morale, ma racconti letterari ricchi di ironia e talvolta di sarcasmo. Andersen spesso ribalta le regole e lascia vincere il furbo, se non il cattivo. Non sfugge però alla regola che vuole le favole, al pari dei miti, come racconti che «ci aiutano a capire le società in cui viviamo e ci insegnano cosa significa essere umani, come affrontare la nostra esistenza in relazione al mondo» (lo sostiene Bruno Bettelheim), o che «ci guidano ad attraversare la vita», come scrive Joseph Campbell. Se la favola è anche un’opera letteraria, come nel caso di Andersen, allora è l’opera stessa che «ci interroga», direbbe Hans-Georg Gadamer. Insomma, l’operazione ha alle spalle un apparato teorico solido. Ma com’è avvenuta?

Il percorso

Modesto spiega che all’inizio non c’era alcuna intenzione di scrivere un libro. Era solo uno dei molti laboratori di pratica filosofica, intesa in senso socratico: produrre e analizzare idee. Lui e il collega svedese avevano iniziato a lavorare a quattro mani. Prendevano un racconto di Andersen e ne enucleavano sei concetti base da analizzare, poi se li dividevano, tre a testa. Un’analisi che va oltre il testo. Ma con rigore: ogni elemento deve trovare conferma nello scritto originario. Niente fantasie ma ricerca «di filtri per sviluppare le interpretazioni, sondare l’oggetto per far emergere elementi, anche nascosti o confusi». «Un lavoro avvenuto soprattutto online- spiega Modesto - lui in Svezia e io a Brescia». Poi, a metà strada, si accorgono che il risultato è davvero buono e propongono ad alcuni editori di pubblicarlo. La Compagnia della stampa coglie al volo l’occasione. Ed eccolo il volume, in italiano e in inglese; gli autori non hanno scritto nella rispettiva lingua, il testo è stato steso a quattro mani in inglese, la traduzione italiana è stata successiva. Ed ecco la sirenetta interpretata come racconto di nostalgia e amore, desiderio e sacrificio, ragione e trascendenza. O la storia delle scarpette rosse come insieme di punizione e vanità, tabù e ossessione, resa e maledizione. La piccola fiammiferaia come esempio di gratificazione, impazienza, alienazione, illusione, nobiltà...

E ora i due giovani filosofi continuano il loro lavoro, oltre Andersen, affrontando altri temi di vita quotidiana. Tra questi, il vittimismo, che tanto va di moda. O i molteplici concetti di verità: «Ne abbiamo identificati diciannove - dice Modesto -, dalla verità scientifica alla verità come coerenza, alla verità rivelata delle religioni...».

Chissà quale racconto ne avrebbe tratto Andersen?

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Icona Newsletter

@I bresciani siamo noi

Brescia la forte, Brescia la ferrea: volti, persone e storie nella Leonessa d’Italia.