«Con Castellitto nella disperazione dei naufraghi a Lampedusa»
Dai tappeti rossi dei festival, agli abissi del Mediterraneo e dell’animo umano. Dalla riflessione sulle tematiche legate alle migrazioni, alla sensazione di viverle sulla propria pelle, filtrate dall’intima esperienza d’attore. È la parabola vertiginosa del cineasta bresciano Elia Mouatamid, che mentre il suo film «Talien» raccoglie consensi nei festival, si è ritrovato sul set a Lampedusa, chiamato dal regista Maurizio Zaccaro per vestire i panni di un naufrago. «Ho provato cosa significa essere naufraghi in mare aperto, di notte. Mi ricorderò per sempre quei dieci minuti in acqua».
Il tono di voce di Elia, mentre racconta ciò che prossimamente vedremo sullo schermo, è solenne e toccante. Sta per imbarcarsi sul volo che lo riporterà a casa da un viaggio di lavoro, che lo ha condotto ad immedesimarsi nelle storie di tanti uomini e donne che fanno «il viaggio», quello sui barconi con gli scafisti. Le riprese sono terminate ieri e il titolo provvisorio del film, che vede protagonista Sergio Castellitto, è «Lacrime di sale», come il libro al quale è liberamente ispirato, un best seller scritto dal medico Pietro Bartolo, l’isolano che vive sul campo da sempre i drammi legati all’accoglienza e, grazie al film «Fuocoammare» di Gianfranco Rosi, oggi è conosciuto a livello internazionale.
«Sono un estimatore del cinema di Rosi - confida Elia - che capitava telefonasse a Lampedusa durante la lavorazione, mentre una presenza concreta e indimenticabile era quella di Bartolo stesso, con il quale posso dire che sia nata una vera amicizia. E non è l’unica: c’è stata grande intesa anche con il direttore della fotografia Fabio Olmi, figlio del compianto maestro Ermanno, del quale Zaccaro è stato allievo».
Elia, ci parli del suo ruolo...
Interpreto Hassan, un padre siriano che perde il proprio figlioletto durante il naufragio del barcone sul quale viaggiano. Calarsi nella parte è stata una sensazione dirompente. Non solo nelle scene in mare, anche in quelle nel centro di accoglienza e in ambulatorio.
In che lingua ha recitato?
In arabo, che parlo correntemente avendo origini marocchine, ma dovevo rendere le sfumature di quello in uso in Siria, dunque mi hanno assegnato un tutor sul set.
Come è stato scritturato da Zaccaro?
Ha visto e apprezzato il mio documentario «Talien» al Torino Film Festival e di recente mi ha cercato. Pensavo mi volesse come comparsa, invece sono rimasto a Lampedusa 21 giorni ed ho partecipato a circa 35 scene, insomma quasi metà film. È stata la stima nei suoi confronti e nei confronti di Fabio Olmi a farmi accettare.
Qualche dettaglio della sua nuova amicizia con Pietro Bartolo?
Si è rivelato la mia guida a Lampedusa, mi ha mostrato tutto e mi invitava sia a pranzo che a cena ogni giorno. Sono nate conversazioni incredibili e mi piacerebbe moltissimo strutturare nuovi progetti con lui.
Dal suo lungometraggio, dove è in scena accanto a suo padre, al ritrovarsi attore in un film di finzione: come è andata e cosa hai imparato?
Oltre alle emozioni provate per il tipo di ruolo affidatomi e al piacere di affiancare Castellitto, c’è tutto il versante che riguarda il mio sguardo da regista. Respirare l’aria del set dalla prospettiva d’attore mi ha dato al contempo l’occasione di osservare i meccanismi di una grande produzione cinematografica (di Steman Entertainment e Ipotesi Cinema con Rai Cinema, ndr), un sapere che mi tornerà utile in futuro per dirigere i miei film.
Pensa, comunque, di proseguire anche a recitare?
Le impressioni che ho raccolto in queste settimane sono positive: prenderò in considerazione seriamente nuove esperienze da attore.
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