«Commedia all'italiana, l'ironia che raccontò anche la guerra»
Di cosa ridono gli italiani? La risposta del prof. Masolino d’Amico, critico teatrale, saggista e accademico italiano, è tagliente: «Ridono della miseria, della fame, della pernacchia che il popolo oppresso fa all’oppressore. E se la risata inglese è basata sull’umorismo, la finezza, l’allusione detta fra le righe, e la francese si rifà a una certa goliardia, in Italia è la pernacchia la forma più efficace (e dissacrante) che aziona la risata anche sguaiata, ma sincera, popolare, verace direbbero a Napoli».
Figlio della sceneggiatrice Susi Cecchi d’Amico e del musicologo Fedele d’Amico, il prof. Masolino, in casa, da piccolo, ha respirato aria di cinema e ha conosciuto gli attori più in voga del momento. Un’esperienza che, aggiunta alla frequentazione quotidiana dei locali cinematografici per vedere i film che dal 1945 al 1975 hanno divertito e galvanizzato gli Italiani, ha fatto di lui uno dei più documentati testimoni di un’epoca per quanto riguarda «La commedia all’italiana» (La Nave di Teseo, 448 pp.; 22 euro, ebook 9,99 euro) e il «Cinema comico in Italia dal 1945 al 1975».
La riproposta del testo (giunto alla terza edizione: nel 1985 e nel 2008 fu pubblicato dal Saggiatore), uno dei capisaldi della storia del cinema, quando la settima arte in Italia era più che fiorente e contribuiva in modo consistente alla crescita dell’economia del Paese, è motivata soprattutto dalla nostalgia di una certa comicità. «La nostra tradizione è la comicità dell’avanspettacolo molto volgare, aggressiva - spiega il prof. Masolino d’Amico -. È diventata un po’ più raffinata quando l’hanno portata nel cinema, ma del nostro più grande clown, Totò, i critici scrivevano che faceva troppo ricorso ai doppi sensi e sprecava il suo talento. Quando con Pasolini girò "Uccellacci e uccellini" lo colmarono di lodi, ma in realtà quel film (in totale Totò ne ha girati 80) è il suo più brutto. Così Aldo Fabrizi e i tre fratelli De Filippo, anche se loro provenivano dal teatro e fecero un cinema un po’ diverso. Anna Magnani era un’attrice comica che spopolava nel varietà. E sia lei che altri comici, anche quando facevano le parti drammatiche, si portavano dietro il lato popolaresco e arrivavano al cuore della gente».
Lei storicizza solo un trentennio del nostro cinema comico: perché ignora ciò che avvenne dopo il 1975?
Ho preso in esame il trentennio dal 1945 al 1975 e mi sono fermato lì, perché a quell’epoca, quando scrissi il libro, pensavo - e lo penso ancora - che qualcosa era cambiato. Dopo gli "anni di piombo" il clima non era più quello faticoso ma gioioso della fine della guerra, nonostante i lutti, i disastri, le ristrettezze: c’era stato un cambiamento brusco e brutale. Tutto il cinema comico italiano, che aveva contribuito efficacemente alla ripartenza dell’Italia dopo la guerra culminando nel boom economico degli anni Sessanta, dopo le Brigate rosse perse vigore, perché era difficile scherzare: bisognava occuparsi di altre cose.
Oltre all’avanspettacolo, quali sono le vere origini della commedia all’italiana?
La "commedia all’italiana" era nata sulle ceneri del neorealismo, in cui già c’era una componente comica. In «Ladri di biciclette» e «Roma città aperta», ci sono momenti umoristici anche molto forti. Nasce quindi con l’intento di mettere un po’ di ironia nella tragedia. Il cinema italiano diventa commedia quando gli autori capiscono che una storia seria, drammatica, raccontata in modo buffo e ironico funziona meglio: la ricetta era pronta. L’Italia non aveva più voglia di tragedie, e scherzare sulle proprie disgrazie fu la via d’uscita preferenziale.
Che cosa ha fatto prosperare il genere?
La commedia è prosperata scherzando sui difetti degli Italiani, anche con punte abbastanza polemiche, però sottoterra. Tutto questo era favorito dal fatto che c’era una censura molto pesante sulle cose serie, impegnate. Una censura di destra era pronta a cogliere qualsiasi deriva a sinistra e quindi si scoprì che, scherzando, si poteva aggirare la censura, che non prendeva di mira la comicità, ma l’impegno.
Chi fu favorito da questo modo di fare?
Tra i registi impegnati, il caso più eclatante è quello di Pietro Germi, che una volta preso di mira si rifugiò in un mondo ironico e con enorme successo. Con «Divorzio all’italiana» nel 1961, per paradosso, fece una campagna per il divorzio che seriamente non avrebbe mai potuto fare. A quei tempi, Monicelli girò «La Grande Guerra» in chiave comica, amara e passò: prima, con la retorica che c’era stata, i film drammatici sul Primo conflitto mondiale, non si potevano fare. In precedenza era stato censurato anche «All’Ovest niente di nuovo». La commedia ha avuto questa funzione e contribuirono alla sua diffusione anche registi come Comencini, Monicelli, Zurlini, Bolognini... Una serie di grandi professionisti.
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