Cultura

Come Bruno Boni diventò il «Sindaco di tutti»

Martedì, in Loggia, la presentazione del libro firmato da Corsini e Zane
Con De Gasperi. A Brescia nel 1948
Con De Gasperi. A Brescia nel 1948
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«Lü al vòl fa al lìbér sö dè mé per ciapà i mé voti, al spetès dopo che saró mort». È il 1996, il sindaco Paolo Corsini, degente in ospedale, riceve la visita di Bruno Boni, ormai lontano dalla politica attiva. Corsini gli propone un libro intervista sulla sua lunga esperienza amministrativa. Boni si schermisce, rifiuta e lancia quella battuta in dialetto. Paolo Corsini ha mantenuto l’impegno e adesso va in libreria il volume «Carisma democristiano.

Bruno Boni sindaco e politico (1918-1998») scritto con Marcello Zane. Esce esattamente vent’anni dopo la morte e ad un secolo dalla nascita. È una biografia che, visto il ruolo, il carattere e lo spessore del protagonista, interseca la storia di Brescia e dei Bresciani dal 1945 alla fine degli anni Novanta.

Prof. Corsini, cosa l’ha più intrigata di Boni dal punto di vista storico? Il suo rapporto con il popolo. Boni vedeva in esso tutte le virtù. Il suo non era un populismo in polemica con la casta dei politici o con gli intellettuali. Amava il popolo perché fonte della legittimazione democratica. Parlava in dialetto, conosceva bene e frequentava i luoghi popolari della città. Lui stesso di estrazione popolare, era amato dai cittadini, volendo interpretarne la volontà. Nel libro, Boni assume il valore di un caso esemplare della supremazia della Democrazia cristiana, in particolare nel nord.

Quali sono le ragioni profonde di questa egemonia? La legittimazione antifascista, l’origine popolare e il carisma democristiano, vale a direla politica intesa come mediazione. Fra laici e cattolici, capitale e lavoro, capoluogo e provincia. La mediazione come leva fondamentale di governo, secondo un’idea interclassista della società basata sui ceti medi. C’è un altro elemento interessante da considerare: la laicità di Boni, l’accettazione del pluralismo della rappresentatività politica. Ovviamente con lui e la Dc al centro del sistema.

Qual è stato il suo contributo allo sviluppo della società bresciana? Ha avuto un funzione di grande rilievo. Boni è la sua Dc sono gli interpreti della terza modernizzazione, dopo quella operata dal ceto politico zanardelliano e dal regime fascista. Una modernizzazione perseguita cercando di coniugare progresso sociale e sviluppo infrastrutturale.

Ha avuto degli imitatori? Di più. Boni è stato un caposcuola, il maestro e il modello di un intero ceto politico-amministrativo bresciano. Tanti sindaci popolari e modernizzatori hanno seguito il suo esempio. Cito Maffeo Chiecca a Rudiano, Giliolo Badilini a Montichiari, Vittorio Sora a Quinzano, Angelo Regosa a Leno, Bruno Barbaglio a Flero e tanti altri richiamati nel libro. Un bel riconoscimento da parte di un politico come lei schierato dalla parte opposta... Avendo vissuto il tramonto della Prima Repubblica e conosciuto la Seconda, e potendo ormai guardare le cose con un certo disincanto, ho rivalutato la storia democristiana. Alla fine della sua vita Boni era un senza partito. Dopo la fine della Dc non ha aderito al Partito popolare di Mino Martinazzoli, anche se il suo rapporto con lui è diventato centrale. Nutriva dei sospetti verso l’Ulivo, in cui vedeva un cedimento della cultura cattolica alla sinistra. Nella sua ultima stagione non aveva più partito. Questa è un’altra cosa che mi ha intrigato nello scrivere la sua biografia.

Longevità. Bruno Boni fu sindaco della città dal 1948 al 1975
Longevità. Bruno Boni fu sindaco della città dal 1948 al 1975

Per quale ragione? Perché sto sperimentando la stessa esperienza. Sono anch’io senza più partito. Questo mi consente di capirlo, di sentirlo meglio. Io ho fatto politica in un altro versante, ma con molte affinità con Boni nelle radici culturali.

Prof. Corsini, qual è l’eredità di Boni? Certamente la buona amministrazione di Brescia, il profilo di rispettabilità personale mantenuto dai sindaci, la tradizione di buon governo. E l’uso della leva amministrativa per evitare la deflagrazione della società nei momenti di crisi.

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