CulturaBassa

Colarizi: «Con il Muro di Berlino è caduta anche l’illusione di una pace duratura»

Nicola Rocchi
La storica sarà domani a Castrezzato per parlare di Guerra fredda e della geopolitica attuale: «Ora viviamo nel terrore»
La storica del '900 Simona Colarizi - © www.giornaledibrescia.it
La storica del '900 Simona Colarizi - © www.giornaledibrescia.it
AA

Dopo la caduta del Muro di Berlino, che ha siglato la fine della guerra fredda, la pace è più o meno garantita? «Viviamo in un mondo di guerre e di terrore» risponde Simona Colarizi. Domani, venerdì 23 febbraio, sarà lei a rievocare, nell’ambito del festival Rinascimento culturale, i decenni dal secondo dopoguerra al 1989, segnati dalla contrapposizione tra Usa e Urss e dalla divisione del mondo in due blocchi antagonisti.

L’incontro con la studiosa – autrice di molti volumi sulla storia italiana del ’900 – si svolgerà dalle 20.45 nella Sala polifunzionale di Castrezzato, in piazza dell’Amicizia (ingresso gratuito, prenotazioni sul sito rinascimentoculturale.it).

Professoressa Colarizi, quali sono le cause della guerra fredda?

«Essa è il frutto dell’incompatibilità tra due visioni del mondo. Quando scoppia, nel 1947, una delle ragioni è la minaccia di un intervento armato se l’Urss avesse dilagato in Turchia. È la cosiddetta “dottrina Truman”, l’intenzione dichiarata di “schierare gli Stati Uniti dalla parte e a capo del mondo libero”. L’altra ragione è il Piano Marshall, che per l’Urss fu una provocazione. Gli aiuti economici a un’Europa in macerie avrebbero sicuramente portato l’espansione americana oltre le reciproche sfere d’influenza concordate nel dopoguerra».

L’Unione Sovietica era provata dal conflitto…

«Era il Paese col maggior numero di morti e distruzioni, e nel 1947 non aveva ancora l’arma atomica. L’Urss ha però altre due armi. Una è il sistema dittatoriale, che consente di governare anche con una popolazione affamata. Ma l’arma più forte è il mito della rivoluzione del 1917, che va ben oltre i confini dell’Urss e dilaga in tutto il mondo, parlando alle classi meno abbienti».

Si crea così un equilibrio tra due forze diverse?

«Un punto di equilibrio che in Europa non sarà alterato nemmeno quando l’Urss si doterà dell’arma atomica. La paura della bomba atomica fissa un equilibrio del terrore che garantisce mezzo secolo di pace. Non assicurata, tuttavia, agli altri popoli della Terra».

Quanti conflitti locali ebbero la guerra fredda come origine o concausa?

«Furono infiniti, ma con la prudenza dei due Paesi di non mettere mai le proprie armi di fronte a quelle dell’avversario. Durante la guerra di Corea (1950-53) furono quasi l’uno di fronte all’altro. Si restò col fiato sospeso, ma proprio questo rafforzò la reciproca cautela. L’altro momento critico fu la crisi di Cuba del 1962, con il famoso «telefono rosso» che avrebbe potuto scatenare la guerra nucleare. Una fase di grande tensione fu la costruzione del Muro di Berlino».

La sua caduta sembrò decretare la vittoria degli Stati Uniti…

«Concluderò il mio intervento spiegando che questa vittoria non ci fu. Non vince la democrazia, ma si apre un’altra fase di equilibri internazionali, avviatasi in realtà molti anni prima. Sia gli Usa che l’Urss fin dagli anni ’70 devono fare i conti col fatto che il mondo sta cambiando. Ci sono altre economie emergenti, come la Cina e l’India. C’è un Medio oriente totalmente in ebollizione: l’Afghanistan è il Vietnam dell’Unione Sovietica».

Cosa cambia in Europa?

«Finisce l’illusione della pace anche per gli europei che nei primi anni ’90 si rendono conto di non essere una vera potenza, nonostante la loro forza economica. La guerra esplode a casa loro: in ex Jugoslavia, Georgia, nella Crimea occupata da Putin e ora in Ucraina. E poi le guerre del Golfo, in Afghanistan, Iraq… un mondo di potenze in conflitto tra loro, nel quale le nazioni democratiche sono in affanno».

Putin, come a suo tempo Stalin, vuole mantenere una «cintura protettiva» intorno alla Russia?

«Negli anni successivi alla caduta dell’Urss, l’idea di poter estendere a quel Paese i valori dell’Europa era forte. Ma arrivare alla democrazia non è un processo facile, e la Russia non l’ha mai conosciuta. Oggi Putin parla di un attacco della Nato alla sovranità della Russia, ma in realtà non c’è nessuna invasione: a chiedere disperatamente l’ingresso nella Nato sono proprio i Paesi che si sentono più minacciati da Putin».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato