James Franco a Brescia: «“Hey Joe” è il mio film più maturo»
Le due sale erano piene, ma chi si aspettava la ressa di ragazzine ha dovuto ricredersi. Ad accogliere James Franco a Brescia sono state folle educate ed eleganti, che hanno ricevuto in cambio del loro affetto altrettanta educazione ed eleganza.
Gli incontri
L’attore hollywoodiano candidato al premio Oscar per «127 ore» giovedì sera ha fatto tappa prima alla multisala Oz e poi al cinema Moretto in città e ciò che è saltato fuori è la sua umile disponibilità. Con qualcuno si è addirittura fermato a parlare al tavolino e gli autografi non sono mancati (chi su una copia di «Spiderman», chi su «22/11/63» di Stephen King).
L’appuntamento nei cinema cittadini – prima in via Sorbanella e poi al Moretto – corrispondeva alla presentazione del film «Hey Joe», che probabilmente tornerà nella programmazione del Regno del Cinema. Con Franco c’era anche il regista Claudio Giovannesi.
Il film
La storia è quella di un veterano di base a Napoli durante la seconda guerra mondiale, che dopo 25 anni torna per conoscere il figlio avuto durante il periodo bellico. «Sente di essere al “rock bottom” della sua vita», ha spiegato Franco, «e di avere una sola possibilità per redimersi. Se la serie “The douce” è stata il mio primo ruolo adulto, qui ho un figlio grande: mi sento ancora più maturo». Vicenda che, come ha svelato il regista prendendosi tanti applausi quanto l’attore, ha un fondo di verità, dato che a Napoli da sempre si racconta di questo veterano e del figlio finito negli ambienti malavitosi. «Abbiamo parlato con le persone nei Quartieri Spagnoli, abbiamo letto l’autobiografia “Naples 44” di Norman Lewis, soldato inglese di stanza a Napoli, dopodiché abbiamo costruito il personaggio con James».
A proposito di personaggio cucito ad hoc, Franco ha anche parlato di destino raccontando di come abbia deciso di recitarvi. «Durante la film school ho studiato il neorealismo italiano, che amo molto», ha ammesso. «Ha avuto una forte influenza su di me. Quindici anni fa, quindi, ho iniziato a conoscere il cinema italiano contemporanea, con “Gomorra”, Sorrentino e gli altri. Un giorno ho visto “La paranza dei bambini” di Claudio: l’ho amato. E proprio Claudio mi ha contattato dopo un mese con lo script. Abbiamo parlato per dieci minuti su Zoom e già sapevo di volerne fare parte».
La pellicola 16mm
Anche su Giovannesi il neorealismo ha avuto un forte impatto. La sua è una versione contemporanea di questo genere e lo si intuisce anche da come gira i film, dice Franco. «A ogni “take” giriamo una scena intera. Meglio così: sembra di non recitare, si agisce e basta».
Pur ambientato negli anni Quaranta e poi negli anni Settanta, non è un film in costume, peraltro. Lo dice Giovannesi: «I film in costume mi sono sempre sembrati finti, ma questa non è una storia di trama: è di sentimenti. Per renderla vera, con il direttore della fotografia abbiamo cercato la verosimiglianza partendo dai filmati degli americani a Napoli durante la guerra, che non erano in bianco e nero come immaginiamo: avevano i soldi e giravano in 16mm. Abbiamo quindi preso la stessa pellicola. Gli anni Settanta li abbiamo invece girati in digitale, passandoli poi in pellicola. L’effetto che volevamo non era un film sul 1971, ma un film uscito nel 1971».
Cos’ha scoperto alla fine James sull’Italia? «Claudio mi ha fatto conoscere la gente vera, ho visto tutti i risvolti di Napoli. Ora ci torno anche per i compleanni. Quest’anno sono stato più in Italia che in California».
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