Mainetti al Moretto: la sua storia d’amore e kung fu sotto il Colosseo

Enrico Danesi
Il regista Gabriele Mainetti ha presentato a Brescia il suo «La Città Proibita»: «L’arte marziale è danza»
Selfie di Gabriele Mainetti al Moretto - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
Selfie di Gabriele Mainetti al Moretto - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
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Le arti marziali fanno irruzione nel nostro cinema grazie a Gabriele Mainetti, che ha presentato il suo nuovo film, «La città proibita», al pubblico bresciano, accorso prima alla multisala Oz, quindi al Moretto. E come già era accaduto all’esordio con il folgorante cult-movie «Lo chiamavano Jeeg Robot» (2015), poi con il fiammeggiante (anche se forse meno fortunato) «Freaks Out» (2021), il regista romano riafferma la propria originalità nel panorama italiano e conferma d’essere tra i pochissimi cineasti tricolori a possedere respiro profondamente internazionale, girando con impronta autorale cinema d’avventura e popolare.

La trama

«La città proibita» prende le mosse negli anni ‘90 in Cina, dove l’obbligo del figlio unico, imposto dallo stato per contenere l’esplosione demografica, viene violata da una famiglia, poi costretta a nascondere la secondogenita, Mei, da sguardi indiscreti.

Passano gli anni e Mei sbuca come d’incanto (il movimento di macchina è di pregevole fattura) nella Roma multietnica di oggi, all’Esquilino, in cerca della sorella Yun, finita a fare la prostituta per il racket cinese, che ha qui come base il ristorante La Città Proibita. Il suo destino di combattente indomita (è un portento del kung-fu) si intreccia con quello di Marcello, cuoco nella trattoria che gestisce con la madre dopo la sparizione del padre, protetto da un piccolo boss di quartiere nonché amico di famiglia.

Forte di un cast che affianca la bravissima Yaxi Liu a Enrico Borello, Marco Giallini, Sabrina Ferilli e Luca Zingaretti, Mainetti mescola i generi (dal filone delle arti marziali a quello gansteristico, dalla storia d’amore al revenge-movie, dalla commedia alla fiaba) un po’ alla Tarantino, dichiarato punto di riferimento stilistico. Senza cali di ritmo, giusto con la pecca di qualche dialogo meno convincenti degli altri, «La città proibita» è caratterizzato da notevoli coreografie, una messa in scena solida e spettacolare, citazioni intelligenti che mai fagocitano la narrazione.

E se il Colosseo era già stato teatro di una sfida cinematografica di kung-fu tra Bruce Lee e Chuck Norris (nel 1972, in «L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente»: vinse Lee, ovviamente…), Mainetti lo utilizza come sfondo per una passeggiata in Vespa in modalità «Vacanze romane».

Kung-fu e spaghetti

Come anticipato all’Ansa, Gabriele Mainetti ha inquadrato il suo film a beneficio della platea: «Amo l’arte marziale, che mi piace immaginare non come lotta ma come balletto, anche se nella realtà è molto violenta, come nei film di Bruce Lee che vedevo da bambino e che mi affascinavano – svela il regista –. In questo film, che rappresenta il coronamento di un sogno, ho voluto una protagonista femminile, facendo incontrare due culture nel luogo che a Roma è ideale per rappresentare tutto questo: è una storia d’amore anche tra due culture, in cui a fare da trait d’union è il cibo».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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