Al Nuovo Eden il film sul rapporto tra Joel Meyerowitz e la moglie

Come si vive l’amore dopo tanti anni insieme, quando la fine è sempre più vicina? È la domanda di fondo che emerge da «Two strangers trying not to kill each other», documentario diretto da Manon Ouimet e Jacob Perlmutter che ha per protagonisti il fotografo newyorkese Joel Meyerowitz e la moglie/scrittrice Maggie Barrett.
A lui è dedicata la retrospettiva «A sense of wonder, fotografie 1962-2022», inaugurata il 25 marzo al Museo Santa Giulia e visitabile fino al 24 agosto nell’ambito del Brescia Photo Festival 2025 e non è quindi un caso che questo film sia arrivato in sala al Nuovo Eden proprio nella stessa serata, alla presenza del fotografo che con i suoi scatti ha rivoluzionato la street photography e ha immortalato Ground Zero nel periodo successivo alla caduta delle Torri Gemelle.
Il documentario
Nel documentario però c’è poco spazio per gli aspetti prettamente legati alla sua carriera e alla sua importanza per il mondo della fotografia.
Come ha raccontato lo stesso Meyerowitz, presente in sala dopo aver firmato copie del suo libro nel foyer del Nuovo Eden, quello firmato dalla coppia di registi è un racconto intimo, «Un film su una vecchia coppia che si ama – lo ha definito –. Due artisti che hanno vissuto vite diverse e che affrontano la propria mortalità, perché la fine è vicina». Un pensiero che può sembrare cinico, ma «Two strangers trying not to kill each other» si concentra sugli aspetti più romantici della vicenda.
Nascita del progetto
Il progetto è iniziato quando Perlmutter e Ouimet hanno incontrato per caso per strada, a Londra, Joel Meyerowitz e Maggie Barrett; sei mesi dopo, hanno scritto al fotografo per dirgli che non riuscivano a togliersi dalla mente quell’incontro e proponendo quindi la realizzazione di un documentario: i due si sono trasferiti in Toscana e hanno seguito la quotidianità della coppia per un mese nel corso di un anno, tra la casa di campagna italiana, l’appartamento di New York e il rifugio in Cornovaglia caro alla scrittrice.
Narrazione
L’aspetto che colpisce particolarmente di «Two strangers trying not to kill each other» (e per certi versi ne rappresenta anche un limite) è la straordinaria drammaturgia degli eventi. Il documentario – girato con camere Leica SL3 tenute sempre con inquadratura fissa proprio per rispettare l’idea stessa di fotografia di Meyerowitz come arte in grado di immortalare dei momenti e toglierli dal flusso del tempo – ha una sua narrazione interna precisa: riepiloga il primo incontro tra Joel e Maggie, l’evoluzione del loro rapporto ma anche le difficoltà che la donna ha vissuto nel corso di una vita spesso passata «all’ombra» di una persona così famosa.
Dopo aver sacrificato molto per stargli accanto, l’occasione per riequilibrare il rapporto o quantomeno far emergere queste criticità è arrivata dopo un terribile infortunio patito dalla scrittrice, la rottura di un femore e la conseguente diagnosi di osteoporosi. A quel punto la coppia ha dovuto lasciare la Toscana per fare ritorno nell’appartamento di New York che Meyerowitz ha condiviso con la prima moglie, luogo che custodisce anche lo studio e il lavoro del fotografo e causa di acrimonia per Maggie Barrett.
Sensazioni
«Two strangers trying not to kill each other» è un documentario che funzionerebbe benissimo anche come film di finzione, come racconto di un amore tra due persone che hanno raggiunto la terza età e costrette ad affrontare una crisi dovuta a vecchi rancori e all’inevitabilità della morte che si avvicina. I due sono così peculiari, nella loro quotidianità fatta di arte e passioni, da sembrare personaggi di una storia.
Per certi versi è un pregio, perché consente a chi guarda di empatizzare con la vicenda e i suoi protagonisti e commuoversi a più riprese nella maniera più cinematografica e consolidata possibile; per altri questa sensazione di finzionalità porta a chiedersi quanto dei veri Joel e Maggie sia riuscito a emergere veramente, quanto cioè la presenza della telecamera ne abbia condizionato l’espressione umana e intima.
Altri film
Il documentario che accompagna l’inizio della mostra al Museo Santa Giulia, come ricordato a inizio proiezione dal direttore di Fondazione Brescia Musei Stefano Karadjov, è solo il primo di un ciclo di film dedicato alla fotografia in programma al Nuovo Eden.
Si proseguirà il 9 aprile con «Guido Harari – Sguardi randagi», dedicato ad uno dei più grandi fotografi italiani contemporanei; quindi il 23 aprile con «Il complotto di Tirana», documentario di Manfredi Lucibelli nel quale compare anche il recentemente scomparso Oliviero Toscani; infine il 7 maggio il ciclo si chiuderà con «I Am Martin Parr» di Lee Shulman, sul fotografo britannico che dagli anni ‘70 ha offerto una visione unica della società contemporanea attraverso le sue immagini.
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