Cinema

Asgari: «Le donne iraniane, eroine in lotta contro regole ingiuste»

Enrico Danesi
Il regista iraniano dissidente Ali Asgari sarà a Brescia questa sera per la proiezione del suo film «La bambina segreta»: l’intervista
Il regista iraniano Ali Asgari
Il regista iraniano Ali Asgari
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Ali Asgari (regista iraniano che questa sera alle 21 sarà al cinema Nuovo Eden di via Nino Bixio 9 per la proiezione del suo film «La bambina segreta», info su www.nuovoeden.it) ama costruire le sue storie intorno a personaggi femminili. Forse perché attribuisce alle connazionali iraniane di oggi una forza notevole e la voglia di «distinguersi rispetto alle generazioni passate, da parte di donne molto speciali che lottano per l’uguaglianza e per i diritti, contro regole ingiuste». Uno spirito che sembra animare le ultime generazioni in Iran, ma che risulta più evidente proprio nelle donne, che rischiano molto di più in una società in cui il maschiocentrismo (brutto termine per una condizione anche peggiore) domina ogni aspetto del quotidiano.

Già in «Disappearance» (2017), il 42enne cineasta aveva dato risalto alla figura femminile dentro l’odissea di due fidanzati ostracizzati dal sistema sanitario in quanto coppia non ufficiale. E ne «La bambina segreta» – realizzato nel 2022, ma appena uscito in Italia, sulla scia degli apprezzamenti raccolti dall’opera successiva di Asgari, «Kakfa a Teheran» – la protagonista Fereshteh (Sadaf Asgari, nipote del regista nonché interprete di portentosa intensità), ragazza madre in una realtà sociale che quasi nemmeno contempla tale eventualità, è messa di fronte a una serie di difficoltà nel momento in cui i suoi genitori (ignari del concepimento «illegittimo») annunciano una visita alla figlia, che deve così trovare una sistemazione per la bimba, per una notte («Until Tomorrow», ovvero «Fino a domani», è infatti il titolo originale); complicazioni che il sistema iraniano (legislativo, politico, religioso, culturale) amplifica a dismisura. Con Ali Asgari, in giro per la Penisola a presentare il film, abbiamo approfondito il discorso.

Asgari: la protagonista de «La bambina segreta» è un personaggio potente...

Non ho pensato a una donna in particolare, ma a una generazione, a cui ella appartiene. Soprattutto le donne – come il mondo ha appreso due anni fa grazie al movimento «Donna, vita, libertà»  – non si fermano: nonostante la repressione, lottano per il cambiamento. Nel film, l’aspetto della libertà è rappresentato dalla volontà di tenere il bambino, ma vale come metafora di libertà in generale: Fereshteh lotta per questo e scopre di avere dentro di sé il coraggio per farlo; combatte per affermare i propri diritti e la propria indipendenza in una società chiusa e patriarcale; gira per la capitale decisa ad ottenere ciò che vuole, così come vuole avere il controllo della propria vita e del proprio corpo. Come dicevo, è cosa dalla valenza anche metaforica, un simbolo e insieme una speranza. Tanto che nel finale Fereshteh percorre con determinazione una lunga strada, che si illumina mentre si appresta al confronto con i genitori.

Il finale è diverso rispetto al corto con lo stesso soggetto da cui deriva, che lei portò a Venezia nel 2014. Perché?

Non ero contento della conclusione del corto. Parlando con le ragazze iraniane ho percepito un cambiamento di prospettiva, e ho deciso di adeguare il finale a questo mutamento, rendendolo più coraggioso. Questo finale nasce dal confronto con una nuova generazione di donne, che ha idee chiare e nessuna voglia di farsi dire cosa fare. Anche dove sembra che non ci siano vie d’uscita, si possono trovare: talvolta servono terremoti, o atti rivoluzionari.

Con questo film ha avuto problemi di censura, peggiorati poi con «Kafka a Teheran». Ora si può spostare liberamente?

Per ora, sì. E sottolineo «per ora», perché con ogni film ci sono problemi: dopo «Kakfa a Teheran», mi hanno ritirato il passaporto per otto mesi. Ma i problemi li metto in conto, perché faccio film che criticano il sistema.

Ha studiato e vissuto nel nostro Paese. Com’è stata l’esperienza?

Ho studiato a Roma, dove ho perfezionato la conoscenza del cinema. Conservo legami forti con l’Italia, che ritengo una seconda patria, se non addirittura la prima... (sorride, ndr). Prima di venire da voi avevo però un’idea diversa del cinema italiano, io che sono cresciuto con i film del Neorealismo. Ho invece trovato un cinema cambiato: comunque forte, ma senza le caratteristiche che lo rendevano unico (penso anche alla commedia all’italiana), e tematicamente meno umanistico, probabilmente perché oggi è più influenzato dal cinema americano.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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